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Tocco Casauria: idrocarburi e petrolio

Foto tratta da I due punti

L’Abruzzo non è stato oggetto d’interesse di attività di ricerca legate all’estrazione di idrocarburi solo di recente memoria, come la vicenda Mattei farebbe ritenere. Tutt’altro. Già, nel 1861 il geografo Zuccagni Orlandini registrò: «Tocco (Napoli) provincia d’Abruzzo Citeriore, circondario di Chieti; mandamento di San Valentino. Sorge in collina, con fertile territorio il borgo di Tocco. Vi si trovano erbe medicinali e petrolio». Fatto straordinario è che la certezza della presenza di petrolio a Tocco nei pressi del Castello di Cantalupo risale sin dal 1482 tanto è riportato da Flavio Biondo da Forlì nel suo “Italia illustrata”, primo manuale di geografia italiana. Le prime trivellazioni sono datate 1863 ad opera di Maurizio Laschi e Carlo Ribighini (pionieri delle perforazioni artesiane). La società praticò un pozzo profondo 60 metri traendo dal giacimento 500 kg. di petrolio al giorno. Una precedente relazione sull’esistenza del bitume/petrolio era stata resa dal barone Giuseppe Nicola Durini nel suo rapporto alla Società Reale delle Scienze in Napoli dal titolo “Sullo zolfo e bitume di Abruzzo Citeriore” (1825). Durini descrive la zona ove affiora il bitume dandone una descrizione tanto particolareggiata da far pensare che si trattasse di petrolio. Annota: «Giace essa nel territorio di Tocco a pié del monte detto Morrone, che è una montagna isolata, e quasi direi ala della Maiella. […] Dopo le grandi piogge, e le straordinarie liquefazioni delle nevi avviene si spesso che non a gocciole sgorga il bitume, ma a zampilli che s’innalzano tre, o quattro palmi in aria, […] come se guizzanti serpi neri uscissero dal suolo innalzandosi con moto tortuoso, e poi ricadendo. […] Questo fatto mi fa non a torto sospettare che alle radici di quel monte un lago sotterraneo». L’ingegno e l’erudizione del barone fanno si che le sue accorte osservazioni lo portino a suggerire all’Accademia di intraprendere le ricerche e scrive: «In quanto al profitto da trarsi da siffatto bitume non saprei per verità trovarlo grandissimo. Arrostendo quelle glebe, e que’ strati di terra bituminosa potrebbe ritrarsene molta quantità, e sino al quarto della massa; potrebbe servire per combustibile supplendo le veci del carbone fossile; potrebbe chiarificarsi, e ridotto a nafta avvalersene per illuminazione». Se si dette seguito alle indicazioni di Durini non c’è dato sapere. Ciò che è certo è che quello del 1863 fu il primo pozzo in Italia praticato con l’ausilio di mezzi meccanici ed il terzo al mondo dopo Usa e Romania. Un evento eccezionale per un Stato appena unificato e che si avviava lentamente ad uscire dall’arretratezza di secoli. Del resto, solo quattro anni prima, il 27 agosto 1859, a Titusville, paesino in Pennsylvania, fu scavato il primo pozzo petrolifero della storia.

 

Foto AbruzzoWeb

Ad effettuare la trivellazione fu Edwin Drake, che, grazie all’utilizzo di macchine per la produzione del sale, raggiunse il petrolio alla profondità di circa ventidue metri. In ogni caso, la zona pedemontana della Maiella divenne ancor prima del Texas uno dei maggiori produttori e raffinatori petroliferi e asfaltici. Diversi imprenditori italiani – ma anche francesi, inglesi e tedeschi – acquistarono lotti di terreno allo scopo di sfruttare il bacino minerario per l’estrazione del petrolio. Tra le più attive meritano di essere ricordate la S.A. Aspahaltene di proprietà del conte francese August D’Aygesvives, la Bummery Jenny di Ancona e la ditta di Milano di Siro Trovati. Nel 1880 le perforazioni sui terreni comunali di Tocco raggiunsero per l’epoca la straordinaria profondità di 170 metri fino a raggiungere i 470. Gli imprenditori Laschi-Ribignini divennero agenti mandatari della Compagnie francaise pur l’exploitation des sources petroliferes de l’Italie et de leurs produit, costituitasi a Parigi nel 1880. La società utilizzava macchine a vapore per le trivellazioni della casa costruttrice Degonsee et Laurent di Parigi. A Piano d’Orta sorse una raffineria di proprietà del piemontese Vittorio Croizat il quale possedeva anche delle cave a Lettomanoppello (Pe). Nell’impianto, dismesso ai primi del ‘900, si raffinava petrolio grezzo proveniente dai pozzi di Tocco da destinare per lo più all’illuminazione pubblica dei comuni circostanti. La notizia dei giacimenti non passò inosservata a quel grande uomo di cultura, letterato e geologo, che fu l’abate Antonio Stoppani. Nella sua opera divulgativa “Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali la geologia e la geografia fisica d’Italia” (1876), contributo alla conoscenza della nazione dopo l’unità, l’abate dedicò due capitoli – “Da Milano a Tocco” e “Le sorgenti di petrolio” – in cui s’interessò dell’esistenza del petrolio su commissione di Maurizio Laschi. Quest’ultimo era venuto a conoscenza dell’esistenza della fonte petrolifera da un ufficiale dei bersaglieri di stanza a Tocco. Lo scopo del dislocamento dei militari nella zona era stato disposto per contrastare la gravissima piaga del brigantaggio che imperversava e spadroneggiava lungo tutta la dorsale della Maiella. Tant’è che per un certo periodo si dovettero sospendere i lavori di estrazione a causa del rapimento da parte dei briganti dell’ingegnere capo Camis. Stoppani era giunto a Tocco nel 1864. L’intera zona si presentò agli occhi dello studioso pressappoco quanto le estreme contrade orientali al padre gesuita Matteo Ricci alla fine del ‘500. Così Stoppani descrive la cittadina: «Ebbene, Tocco è una grossa borgata dell’Abruzzo Citeriore, posta nelle valli interne, alle falde della maggiore catena degli Appennini, sul versante adriatico. […] Scopo del viaggio era la verificazione e lo studio d’una sorgente di petrolio che sapevasi scoperta a Tocco […] A Pescara però ci accorgemmo ben tosto di trovarci in quei paesi meridionali di cui uno dei nostri che ritorni ha sempre tante meraviglie da raccontare, come venisse allora allora dalle Indie o dalla Siberia». Al tramonto la carrozza arrivò in vista di Tocco, situata tra i monti che le facevano da anfiteatro, ovvero da “severa cornice”. «Lo sfondo» è ancora l’abate a raccontare, «è occupato dalla Maiella una delle maggiori montagne dell’Appennino; anzi non cede che per poco al Gran Sasso d’Italia il vanto della maggiore altezza». Dinanzi al «curioso spettacolo dell’emissione del petrolio» rimane stupito.

 

Torrente a Tocco Casauria contaminato dal petrolio – Foto:Il Centro

 

Gli si mostrò come un fiume infernale quel traboccare ed erompere «della massa nera filamentosa». Forse la liquida pece gli avrà rammentato scene dantesche: «Bolle l’inverno la tenace pece». Ci riferisce che la quantità di petrolio che fuoriusciva dalla sorgente era tanto copiosa che rigurgitava terminando insieme con l’acqua nel torrente Arolla Piccolo e da questo nel ramo più grande dello stesso fino a riversarsi nel fiume Pescara. La cosa che lo colpisce è apprendere che per via della notevole quantità di petrolio i pesci morivano. Addirittura le anguille che risalivano dal mare dove erano nate. In Stoppani l’attenzione ai dettagli dà la misura della sua erudizione e della capacità di divulgazione, adottando il linguaggio semplice di chi sa e dando ai concetti l’andatura del racconto quasi in forma manzoniana. Difatti, “Il Bel Paese”, nel 1897, aveva raggiunto la quarantunesima edizione. Un vero e proprio bestseller in un’epoca in cui l’analfabetismo era dilagante. Basti considerare che all’indomani dell’unificazione d’Italia si registrava una media del 78% di analfabeti con punte del 91% in Sardegna e del 90% in Calabria. Ora la zona interessata era compresa tra Monte della Grotta e Colle d’Oro, ovvero lungo il versante orientale del Monte Morrone. Fu proprio lì che l’abate si recò. «L’eruzione del petrolio mi fu descritta – annota – da quei paesani con quel linguaggio poetico, più del gesto che della parola, che io non saprei riprodurre. Quando la sorgente comincia a gonfiarsi, si vedono dapprima guizzare in seno all’acqua, limpidissima come dei neri serpenti. Sono filacciche di bitume viscido, quasi sbrendoli di una massa viscosa, strappati dalla violenza della corrente, che tira e ravvolge in mille tortuose spirali». A seguito del sopralluogo alle sorgenti, e resosi conto delle modalità con cui il petrolio aggallava dai sotterranei della montagna per via delle precipitazioni e dello scioglimento delle nevi che li riempivano portandolo in superficie, ritenne che, se si fosse seguito il metodo naturale per raccoglierlo, più di tanto non se ne sarebbe ricavato. Allora suggerì: «Se l’industria vuol tentare qualcosa di serio, non si contenti dello spontaneo prodotto delle sorgenti e molto meno di quello che si poté ottenere con un artificio così fuori dell’ordinario. Ricorra invece ai pozzi, e vada a snidare il petrolio dai suoi mille ricettacoli, come si fa in America». E così venne fatto. Tant’è che mesi dopo la preziosa sostanza venne “pescata” artificialmente alla profondità di 32 metri ricavandone tra i 600 e i 700 chilogrammi al giorno. Della stupef a – cente storia del petrolio abruzzese, in particolare del distretto della Maiella, col tempo si perse traccia almeno a partire dal 1893 quando la produzione si aggirava intorno alle 12 tonnellate. Ed ecco qui che le strade tra l’abate Stoppani e Laudomia Bonanni s’incontrarono quasi un secolo dopo. Fu un incontro ideale. Erano i primi giorni dell’agosto del 1955. Laudomia si era recata a Tocco da Casauria. Già da qualche mese si era tornati a parlare con un certa insistenza dei giacimenti di idrocarburi in Abruzzo. Tuttavia, a quei lontani precedenti, nessuno aveva fatto riferimento. Né la stampa né altri. Neanche gli stessi abitanti di quei luoghi ricordavano (o fingevano di non ricordare) che c’era stata una vera e propria industria estrattiva con società venute da oltralpe, con l’interessamento dei più qualificati geologi italiani, con borghi come Piano d’Orta o Scafa sorti intorno a quell’industria, con le tonnellate di petrolio e bitume estratti e raffinati nella valle del Pescara. Se ne meraviglia anche la Bonanni. Nell’elzeviro da lei scritto e pubblicato su «Il Giornale d’Italia» del 10 agosto 1955, intitolato “Sosta in Abruzzo”, dopo aver espresso il suo stupore per l’assenza di riferimenti circa la mancanza di notizie su quel tratto di storia locale pur rilevante e persino curioso che, aggiungiamo noi, poneva l’Abruzzo fuori dei triti stereotipi di gente dedita unicamente alla “transumanza” o alla “morra”, o consacrata ai cicli della natura, con D’Annunzio ad affibbiare etichette “pastorali” e rupestri, asserisce: «Devo dire che io stessa ci sono venuta un po’ sulla traccia dello Stoppani, il quale nel “Bel Paese” dedica due interi capitoli al petrolio di Tocco. Si tratta, intendiamoci d’una escursione compiuta nel 1864». Ciò che nota, senza farsene ragione, è che i toccolani hanno un «modo svagato ed elusivo» di rispondere alla sua richiesta di informazioni sui luoghi dello «spurgo nero». La scrittrice chiede in giro di un certo tizio chiamato Il Francese, di cui aveva avuto notizia. Probabilmente avrà ritenuto che si trattasse di qualche esponente di rilievo della Compagnie Francaise, oppure della più recente società venuta a Tocco nel 1919, ossia la Dufour&Paparella, che aveva praticato tre pozzi ma con risultati modesti. La Bonnani è un segugio. Non si ferma. Continua a domandare qua e là. Raccoglie «svagate» risposte. Chiede del farmacista Di Giulio, il quale prima della Grande Guerra, in primavera ed in autunno, con l’aumentare delle precipitazioni, «raccoglieva fino a sessanta barili» della materia nera.

 

Tocco Casauria – Panorama   Foto tratta da Parco Nazionale della Majella

 

Ma anche a riguardo del farmacista nessuno seppe darle una risposta. Nessuno ne sapeva nulla. Prosegue nella ricerca. Non molla. Finalmente in Municipio il segretario le dà qualche ragguaglio più preciso. Sì, il luogo interessato è la montagna o Colle d’Oro. Lassù ci sono le sorgenti di petrolio ed i relativi pozzi. Pertanto, sotto un pesante sole quasi ferragostano, va a dare un’occhiata. Annota: «Proseguo la ripida ascesa. Si vedono per l’argine condutture impeciate (sicché qualcosa esce), alcuni serbatoi rotondi in alto, una capace vasca, e più sopra la baracca. L’odore dell’aria bruciante è composito: petrolio e zolfo (due odori che qui sembrano inseparabili)». Compie un giro ricognitivo meticoloso, come la sua natura la porta a fare. Conta cinque pozzi con dei congegni meccanici che le paiono mulini a vento. Vi ritrova tutto (o parte) descritto dall’abate Stoppani. Commenta: «Il pionierismo del petrolio fu quindi, subito dopo che americano, toccolano». Il cordone di omertà che aveva riscontrato negli abitanti di Tocco all’inizio della sua escursione, ragioni che al momento le appaiono assai oscure, viene infranto dalla loquacità dei ragazzini. E lei che con i ragazzini, da autorevole maestra elementare, aveva sempre avuto un rapporto specialissimo, sa come farli parlare. Infatti, da buoni delatori, i ragazzini «non partecipano alla congiura» e parlano. Dai piccoli raccoglie tutte le informazioni che gli adulti nella mattinata le avevano negato con la loro quasi sfrontata reticenza. Un evidente e non celato sospetto verso il forestiero, verso questa signora che fa domande, che vuole sapere, e s’interessa ad una cosa così inusuale per una donna? Saranno state le domande che si sarà posta anche la Bonanni. Magari i toccolani dovevano ritenerlo un fatto privato, neanche avessero voluto salvaguardare un segreto, tutelare una proprietà, giacché nel tempo in molti forestieri erano passati per quelle strade portandosi via il “loro” bene senza peraltro lasciare nulla o, all’incirca, senza essere stati riconoscenti nemmeno un poco, senza aver chiesto nemmeno il permesso agli effettivi proprietari, cioè ai cittadini di Tocco. Ed ecco che si ripresenta un’altra straniera, in cappellino e borsetta, con quell’aria tra la turista e l’intellettuale a ficcare il naso in faccende. Ancora a predare? Ma i bambini, che hanno l’innocenza dalla loro e non conoscono riserve o secondi fini, le spifferano tutto. Dunque: «E finalmente vengo condotta, sempre dai ragazzini, in casa dei veri Di Giulio». Appura che il farmacista è morto da tempo. E’ in vita l’erede, però. Un vecchio ottantaquattrenne che ne sa parecchio sulla questione del petrolio. Però sta riposando. Non vogliono disturbarlo. E’ pomeriggio. Fa caldo. L’aria è rovente. In casa c’è una signora a riceverla. Forse la moglie o la sorella, che si offre alle domande della sconosciuta. Sulle prime mostra qualche titubanza. Poi, racconta «la storia antica del petrolio di Tocco». Una storia che passa attraverso diversi personaggi. Di terreni acquistati, concessi e poi rivenduti. Di stranieri che vanno e vengono. C’erano degli acquirenti di Ancona, le riferisce. In seguito, la ditta Scarfoglio di Roma aveva ottenuto alcune concessioni più tardi rivendute. Circa un secolo prima (1872), la società inglese Claseen rilevò le installazioni della SAM, ovvero la S.A. Abruzzese pei Minerali della Majella. Società fondata da un gruppo di imprenditori locali (Pescara – Chieti). Poi, nel 1869, fallisce e si scioglie a causa della scarsa qualità e quantità del petrolio estratto. Si posero così in liquidazione sia le miniere che i macchinari della fonderia inglese di Gaslow, di cui era proprietario Georgie Benne, già direttore dello stabilimento di Lettomanoppello. Nel 1873, nasce la SAI – The Anglo-Italian Mineral Oils and Bitumen Company Ltd, che acquista terreni a San Valentino, Roccamorice, Abbateggio fino ad arrivare nel 1885 ad avere in concessione un totale di 830 ettari. La signora Di Giulio si scioglie, seppur avviando il racconto con un diffidente «non so se debbo parlare». Comunque, parla. La Bonanni avrà pensato tra sé che in fondo erano vicende antiche e che non avrebbero nociuto a nessuno, se riferite. Non è escluso che l’amabilità della scrittrice possa aver rassicurato la signora, che nonostante tutto prosegue nel suo resoconto. Sicché, ad un tratto, con grande sollievo, Laudomia viene a sapere chi era Il Francese. «Il Franzese (finalmente) sa benissimo chi era, un mussiù Vergé “cercatore”, che volle restarsene a Tocco, ci comprò terra, sposò una toccolana e morì a tarda età». Ecco qua che in parte le ritrosie dei toccolani si giustificano: quel petrolio lo sentivano ancora come «una ricchezza allo stato potenziale». Chissà mai per quale ragione imperscrutabile per decenni e decenni, forse secoli, non hanno mai saputo renderlo una fonte di sviluppo a loro totale vantaggio. Probabilmente la loro natura era altra e hanno attinto a quel tesoro mai oltre l’indispensabile. Segno evidente che l’atto di “sfruttare” non gli apparteneva. Sfruttare significa trarre fuori fino ad esaurimento della risorsa.

 

Laudomia Bonanni autrice dell’articolo sul Giornale d’Italia 1955

 

Neppure il contadino “sfrutta” la propria terra, semmai la coltiva nel rispetto, la fa “fruttare” per ricavarne il meglio possibile, senza impoverirla o svilirla o, peggio, abusarne. Se così fosse, gli si ritorcerebbe contro. Così in parte si saranno comportati. Ne consegue che gli abitanti di Tocco da Casauria sostenevano un rapporto con la terra fondato su un concetto di sacralità. Come se a quella “terra madre” non si potesse togliere oltre il consentito per non rischiare rappresaglie. Che lo facessero gli altri. Che gli altri si assumessero il rischio di possibili ritorsioni. Anni addietro, non era morto un “giovinotto” nei pressi di un pozzo per le esalazioni di gas? Che ci pensi la pioggia a portare a galla il sangue nero della terra, avranno continuato a ripetersi i toccolani, poiché a loro bastava una secchiata a marcare «il vello delle pecore per riconoscimento», o per dare un po’ di luce alle abitazioni, o per curare la scabbia degli animali, come avrà suggerito ai suoi concittadini il farmacista Di Giulio in quei lontani inizi di Novecento. Ma di farci commercio neanche per idea. Hanno preferito andare per il mondo. Sono emigrati i toccolani. Scrive la Bonanni: «Da tempo se ne sono staccati, perché hanno creduto – e lo credono presentemente – che il loro destino fosse un altro». Considerazioni, queste, che con verosimiglianza avranno accompagnato Laudomia Bonanni nel lasciare Tocco in quell’afosa giornata d’estate del 1955, prima di riversarle nel suo articolo che sicuramente – strada facendo – già iniziava a concepire nella mente, tra uno scossone a l’altro, sulla corriera che la riportava a casa.

 

Autore: Alfredo Fiorani luglio 2013

 

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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