Panoramica sui prodotti enogastronomici della provincia di Chieti divisi per tipo e per importanza. Dall’olio al vino cotto dal peperone ai salumi, dalla pasticceria alla tradizione del maiale.
L’olio extravergine di oliva
La provincia di Chieti, che per quantità è la più olivetata della Regione, produce circa 100.000 q.li di olio di oliva extra vergine. La superficie totale messa a coltura, tra promiscua e specializzata è di 20.000 ha, per una produzione di olive di circa 600.000 di q.li. Le aziende olivicole interessate alla coltivazione si aggirano intorno alle 25.000 unità, con oltre 4 milioni di ulivi, che caratterizzano profondamente il paesaggio provinciale con quasi 300 i frantoi e una decina gli imbottigliatori. Le varietà autoctone più rappresentative sono Gentile di Chieti, Nebbio, Intosso, Cucco, Crognalegno, Caprina, Olivastro di Roccascalegna, frentano e di Bucchianico, Leccino, Frantoio e Moraiolo. Tutte le varietà contribuiscono al blend della DOP (Denominazione di Origine Protetta) “Colline Teatine” la cui composizione varietale può variare, a seconda se DOP soltanto o se accompagnata da menzione geografica territoriale.
L’extravergine DOP “Colline teatine” si mostra di colore oscillante dal giallo oro al verde. Presenta un fruttato di media intensità, che ricorda l’erba, la foglia, la mandorla, con un buon equilibrio tra le note dolci, amare e piccanti. Si può acquistare solo in confezione di vetro contrassegnata con il caratteristico sigillo. Molto interessanti sono anche alcuni extravergine monocultivar ottenuti da Gentile, Intosso, Crognalegna, Ascolana, Leccino, Cucco, Moraiolo e Nebbio. Oltre all’olio extra vergine si segnalano le produzioni artigianali di oli agrumati (le olive vengono frante insieme a limoni, aranci o cedri), olive da mensa, ortaggi sott’olio e paté di olive verdi e nere. Tutto il chietino è vocato alla coltivazione dell’olivo e tante sono le “città dell’olio”. Tra queste meritano sicuramente una menzione particolare quelle frentane (Lanciano, Rocca S. Giovanni, S. Vito, Fossacesia, S. Maria Imbaro e Mozzagrogna), quelle del versante est della Majella (Casoli, Palombaro, Roccascalegna e Pennapiedimonte), e quelle del vastese (Vasto, Casalbordino). Le aziende menzionate nelle rubriche “Prodotti e produttori segnalati lungo l’itinerario” hanno ottenuto riconoscimenti significativi dalla Guida agli extravergini 2008, edita da Slow Food.
Il vino
Una storia antica, quella del vino in Abruzzo: ne decantavano le virtù già in età romana Marco Valerio Marziale e Plinio il Vecchio e in tempi più recenti Andrea Bacci e Michele Torcia nei loro viaggi nella Regione. Ma ne hanno parlato anche Benedetto Croce, Gabriele D’Annunzio ed Ennio Flaiano che qui sono nati. La storia del vino abruzzese, dunque, parte da lontano, ma ha ottenuto notorietà solo a partire dai primi anni ’50, quando alla diffusa coltura dei cereali si è sostituita gradualmente quella della vite, fino a raggiungere un livello produttivo tra i più alti in Italia. L’Abruzzo è sicuramente una delle regioni che, negli anni, ha avuto la maggiore crescita qualitativa. Lo conferma l’aumento della produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata, la nascita della prima DOCG a Controguerra (Te) e di diverse sottozone, l’avvio dell’imbottigliamento di numerose aziende produttrici e, soprattutto, il crescente apprezzamento da parte dei consumatori. Sono arrivati, così, i numerosi successi, riportati nei principali concorsi enologici nazionali ed internazionali, e il crescente interesse da parte della stampa specializzata di tutto il mondo, soprattutto verso il Montepulciano d’Abruzzo Doc, diventando di fatto una delle regioni della nuova enologia. Un cambio di rotta da ascrivere sicuramente ad una nuova generazione di produttori e all’affermarsi di una nuova mentalità delle cantine sociali, sempre più proiettate verso la qualità. A questo sviluppo hanno contribuito notevolmente anche le caratteristiche geopedologiche e climatiche dei terreni, collocati tra il mare Adriatico e i massicci del Gran Sasso d’Italia e della Majella. Queste consentono escursioni termiche tra il giorno e la notte importanti, che, associate ad una buona ventilazione, garantiscono alla vite un microclima ideale per vegetare e produrre uve di straordinaria qualità, ricche di profumi e sapori. La coltivazione si concentra per la quasi totalità sulla collina litoranea ed in particolare nella Provincia di Chieti, dove ricade il 75% del territorio vitato. Un primato che si traduce anche in termini produttivi: dalla provincia teatina arriva circa l’80% della produzione complessiva di vino in Abruzzo, con la presenza di 30 cantine sociali. E’ soprattutto nell’area compresa tra i comuni di Ortona, Tollo, Miglianico, Villamagna, Crecchio, Canosa Sannita, Ripa Teatina fino ad arrivare a San Martino sulla Marrucina che si concentra la gran parte delle due maggiori DOC abruzzesi, il Montepulciano d’Abruzzo e il Trebbiano d’Abruzzo. Qui, la percezione che l’economia è strettamente connessa con la coltivazione della vite è immediata per chiunque si trovi ad attraversare questa zona il cui paesaggio è disegnato quasi interamente da lunghe distese di tendoni, la “pergola abruzzese”. La provincia annovera, inoltre, cinque IGT su nove, “Terre di Chieti”, “Colline Teatine”, “Colline Frentane”, “Colli del Sangro” e “del Vastese o Histonium”. Il vino Montepulciano d’Abruzzo dalle tonalità del rubino intenso con sfumature violacee (granata quando è invecchiato), esprime profumi di ciliegia e amarena fresche quando il vino è giovane, di conserve dei medesimi frutti quando è invecchiato a cui si associano sempre sentori di liquirizia. In bocca si presenta vellutato, morbido, di buona struttura, persistente. Dalle stesse uve, lasciate fermentare per un breve periodo a contatto con le bucce (10-12 ore), si ottiene il Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo, un vino dal caratteristico colore ciliegia (cerasa, da cui Cerasuolo) più o meno carico, dai profumi intensi di ciliegia, di visciola e amarena fresche, dal sapore delicato e fresco e con retrogusto mandorlato. Il Trebbiano d’Abruzzo è il bianco abruzzese per eccellenza. Ha un colore giallo paglierino più o meno carico con riflessi appena verdognoli che si fanno dorati con la maturazione, profumi di media intensità e persistenza associabili alla mela golden, più di rado all’agrume maturo, con sentori talvolta minerali. Il retrogusto tipico è quello di mandorla amara. Molti produttori teatini stanno ottenendo buoni risultati anche dal vitigno pecorino, particolare per i sentori floreali e fruttati, spezie e per la intrigante freschezza gustativa. Interessante anche un altro vitigno bianco autoctono, la cococciola, coltivato soprattutto nei territori di Villamagna, Vacri, Ari e Rocca San Giovanni. Recentemente vinificato in purezza, ha un colore giallo paglierino scarico, una discreta struttura, con un’acidità sostenuta che si conserva per lungo tempo, ed un tipico aroma erbaceo poco intenso, ma persistente. Tutto il territorio della provincia è vocato alla coltivazione della vite. Le aziende che producono vino in provincia sono numerose ed è facile trovare una buon prodotto. Quelle menzionate nella rubrica “Prodotti e produttori segnalati lungo l’itinerario” hanno ottenuto riconoscimenti significativi dalla Guida al vino quotidiano 2008, edita da Slow Food e da Vini d’Italia 2008 edita da edita da Slow Food e Gambero Rosso.
La pasta
Fare la pasta fresca, fino alla fine degli anni ‘50 era pratica quotidiana in molte famiglie della Regione: maccheroni alla chitarra, rentroceli, sagne a pezzi, sagnette e tacconcelli, mentre la pasta secca (pasta all’ingegno) veniva consumata solo la domenica e i giorni di festa. Oggi la pasta fresca viene preparata soprattutto a livello artigianale e industriale con qualità eccellenti e la pasta secca è addirittura famosa nel mondo. I segreti della pasta fresca sono la farina e l’acqua mentre, per quella secca, oltre all’acqua e alla semola, rivestono grande importanza le trafile in bronzo e la cura nella lunga essiccazione all’aria. Ci sono diversi produttori di pasta secca in provincia, ma il luogo deputato alla sua produzione è Fara San Martino. Incassata nella Majella, annovera diversi pastifici che attingono tutti però le acque del Rio Verde che consegna la sua purezza alle oltre 100 forme tra lunghe e corte che vi si producono. Fara San Martino e Gragnano sono le capitali mondiali indiscusse della pasta secca di grano duro.
La tradizione del maiale
Il “salvadanaio” della famiglia contadina. Il maiale, simbolo dell’abbondanza nella tradizione contadina regionale, occupa ora ma non come nel passato un posto importante nell’economia della famiglia contadina. Diverse di esse continuano ad allevarlo come un tempo, nutrito soprattutto con scarti aziendali e familiari, crusca e tritello, prevalentemente allo stato semibrado in attesa dell’agognato raggiungimento “peso forma” tra 180 e 200 chili. Se ne ricava soprattutto carne da conservare: salami, salsicce, prosciutti, pancetta, un vero e proprio investimento per i tempi futuri, “un salvadanaio”. La tradizione voleva che maialetti di due tre mesi, appena svezzati, venissero acquistati nelle fiere di paese o da allevamenti della zona ai primi di giugno e comunque in prossimità del giorno di S. Antonio da Padova. La scelta del periodo dell’ingrasso era legata alla maggiore disponibilità nella fattoria di prodotti per l’alimentazione degli animali, soprattutto cereali, mais e altre granaglie, pastoni di fave e favino, in autunno ghiande e mele. Il maiale nero abruzzese. I maialetti venivano scelti in relazione all’utilizzo futuro delle carni: quelli chiari per le carni più magre erano destinati normalmente alla vendita, quelli scuri con le carni più grasse erano riservati al consumo domestico e alla produzione di saporiti insaccati. Il maiale nero, oggi pressoché scomparso, ma con lodevoli iniziative per la sua reintroduzione, ha consentito produzioni di norcineria di elevata qualità nella zona del vastese interno (Guilmi, Carunchio, Scerni), basti ricordare la grande fama della ventricina, il più tradizionale dei salumi locali, e del salsicciotto di Guilmi. La maialatura. Normalmente l’uccisione del maiale, operazione chiamata appunto “maialatura” avveniva con l’arrivo dei primi freddi invernali, che cadeva nel mese di gennaio, in fase di luna calante, in un periodo compreso tra le festività natalizie e il 17 gennaio, giorno di S. Antonio abate “protettore degli animali”. L’uccisione del maiale il taglio delle carni e le successive preparazioni erano dei veri e propri riti a cui partecipavano parenti e vicini di casa dando vita ad una vera manifestazione corale con canti e balli
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