Si è già detto, scritto e visto molto sulle azioni e costruzioni compiute dopo il terremoto. Manca, (a parer mio) la prospettiva; manca il progetto. Il dibattito si staspegnendo sulla ricostruzione, ma non si sa bene quando e di cosa. Della “città” o di una periferia? Tutto sembra teso a cancellare la catastrofe ripetendo gli stessi errori urbanistici compiuti negli ultimidecenni, quando la città storica é diventata centro urbano; quando l’espansioneedilizia periferica è dilatata in misura inversa alla diminuzione della popolazione nell’area centrale. Non si hanno notizie sul recupero della città storica. Difficile è e sarà, trovare finanziamenti per i monumenti e per il bene culturale “centro storico”. Allargare l’urbanizzato esistente con nuove case, consumando altro territorio, risolve, forse l’emergenza, ma volta le spalle al futuro.
Manca, e quest’assenza mi pare grave, la consapevolezza del significato connesso al recupero della città storica. Recupero, restituzione di monumenti e case, piazze e strade. Il patrimonio culturale insito nella struttura urbana del passato, costituisce un elemento chiave per la rigenerazione di tutto il territorio. La memoria del passato è un autentico e prioritario valore; determina nel profondo di ognuno di noi, il senso d’identificazione, di appartenenza, di cittadinanza. Ha stimolato la creatività di generazioni. Può rappresentare l’occasione per riconvertire la ricostruzione complessiva della città. Il recupero del centro storico è un’operazione prioritaria, proprio perché con essa si determinano quei valori collettivi, quei legami di responsabilità che prendono la forma del“patto di cittadinanza”, rendendo possibile la coesione identitaria. Gli aquilani, se non s’identificheranno nella loro città storica, se non recupereranno la memoria, prima di ogni altro intervento, non riusciranno mai a rifondare una città che nonsia un generico, quanto anonimo, aggregato urbano in espansione. L’identità culturale diventa presupposto di solidarietà sociale. Indispensabile per il futuro di questa città. La città storica come bene culturale, patrimonio della collettività rappresenta una risorsa, un riferimento irrinunciabile per la stessa rigenerazione del territorio distrutto dallo scisma. La proprietà giuridica del singolo bene edilizio storico può essere privata o pubblica; i beni culturali, come il paesaggio che incornicia L’Aquila, sono sempre di pertinenza della collettività. (Fin dall’antichità).
Paesaggio e beni culturali, essendo l’opposto d’ogni individualismo proprietario, conformano il senso di appartenenza al luogo. Ecco allora che le nuove case, per quanto necessarie e ben costruite, in assenza di qualsiasi progetto di recupero della città storica, in mancanza di un programma idoneo a definire il suo ruolo, in un quadro di possibile riconformazione urbana e territoriale, finiscono per assumere un ruolo che potrebbe rivelarsi negativo. Il ruolo pernicioso dell’abbandono della città. Il segno di una dispersione irrecuperabile. Non a caso il graduale passaggio da città a centro storico, con il suo uso non sempre appropriato, con il dilatarsi della periferia è coinciso con la perdita progressivadegli abitanti. Lo sanno tutti. L’oblio della memoria impedisce alle persone di orientarsi. Il territorio smemorato non sa programmare e organizzare il presente e tanto meno il futuro. Più il tempo passa e la memoria rischia di annullarsi nell’indifferenza collettiva. E nella fine dell’Aquila. Le nuove case non sono certo le baracche costruite dopo il terremoto di Reggio Calabria. O le roulotte del dopo terremoto dell’Irpinia. Le une e le altre hanno impedito, lo si ricordi, la formazione di una vera città, hanno consentito di devastare un territorio. La ricostruzione ha cancellato la memoria e il risultato è fra gli esempi meno qualificanti l’urbanistica italiana. Alle nuove, si aggiungeranno altre case.Senza il recupero della città storica, L’Aquila non esisterà più.
#Pier Luigi Cervellati
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