© Immagine tratta da ‘Marsicum’
Come da contratto Torlonia divenne proprietario di gran parte delle terre prosciugate. Essendo venute meno le risorse che il lago offriva, divenne impellente rendere coltivabili le terre liberate dall’acqua e risolvere i problemi legati alla salute pubblica, creati dall’irrigidimento del clima e dalla natura paludosa dei terreni emersi. L’opera di canalizzazione fu completata l’anno successivo e una parziale bonifica venne affidata a contadini e pescatori del luogo
L’operazione si rivelò un fallimento, cosicché si moltiplicarono gli interventi del Consiglio della Provincia dell’Aquila per sollecitare Torlonia ad intervenire, anche perché la posizione economica della popolazione andava sempre più peggiorando tanto da generare, per la prima volta nella storia della Marsica fenomeni di accattonaggio, come riportato dal verbale della Seduta consiliare del 1882.
Il Principe mise una politica di frazionamento dei terreni attraverso contratti di affitto e subaffitto. Restituiti i 2.000 ettari dovuti alle amministrazioni dei comuni rivieraschi, una piccola parte dei territori venne affidata ai coloni giunti dalle Marche, dalla Romagna e dal Veneto, che si insediarono come affittuari in 52 poderi, altri 260 ettari vennero concessi all’azienda Via Nuova.
Intanto i lavori di bonifica procedevano tanto che nel 1889 altri 3.544 ettari erano stati assegnati, seppur con contratti di affitto di diversa tipologia, e gli ultimi 7.850 ettari vennero affidati a famiglie benestanti, che divennero di fatto dei latifondisti con il compito di subaffittare e controllare, per conto di Torlonia,le tenute che avevano avuto in concessione. Molto spesso i contadini affittuari a loro volta subaffittavano ad altri.
La divisione delle terre, dunque, creò un sistema favorevole unicamente agli interessi di Torlonia e degli appaltatori, non migliorando le condizioni di vita dei braccianti, categoria in costante aumento: già nel 1881 si era registrato un notevole aumento demografico.
Questo sistema di frammentazione iniziò ben presto a mostrare la propria inefficienza e a sollevare le proteste dei contadini che richiedevano contratti di affitto diretto: nel 1886 si registrarono le prime manifestazioni di dissenso organizzate. Il problema non fu preso in considerazione dall’Amministrazione Torlonia, che decise di mantenere inalterato il sistema di assegnazione delle terre.
© Immagine tratta da ‘Marsicum’
Del resto il profitto generato dal sistema di frazionamento, circa 5 milioni lordi annui prodotti dalla coltura dei terreni, consentiva a Torlonia un guadagno che ammontava a ben 1 milione e mezzo di lire. Questa inadeguata politica gestionale portò inevitabilmente a continue sollevazioni dei contadini, che avevano iniziato ad organizzarsi in piccole associazioni, dando vita al movimento di rivolta il cui slogan era: “Il Fucino ai contadini” e che nei primi anni del Novecento riuscì a far accettare alcune delle proprie rivendicazioni. Intanto la popolazione continuava ad aumentare, raggiungendo, nel 1911, 47.200 unità.
Purtroppo gli anni seguenti videro peggiorare ulteriormente la situazione, in conseguenza di due eventi tragici che si abbatterono sulla Marsica: il terremoto del 13 gennaio del 1915, una catastrofe naturale con esiti devastanti, e lo scoppio della I Guerra Mondiale.
Solo alla fine del conflitto ripresero le rivendicazioni dei contadini, che riuscirono a strappare all’amministrazione Torlonia contratti diretti, privi quindi dell’intermediazione dei signori locali, che se da una parte rendevano possibile un aumento, seppur minimo, del reddito delle singole famiglie, dall’altra favorivano quel sistema di parcellizzazione dei terreni coltivabili, che già dopo breve tempo si rivelò insufficiente al loro sostentamento.
Questi eventi non hanno permesso la nascita di un’agricoltura organizzata ed un sistema di trasformazione in loco della produzione.
Solo i Torlonia furono in grado di installare un’industria di trasformazione, lo Zuccherificio, che non arrecò benefici alla popolazione locale, costretta a lavorare sulla monocultura intensiva della barbabietola da zucchero, vendendo il prodotto ai prezzi imposti dalla compagnia.
Nel 1929 furono stabilite le nuove norme contrattuali di affitto, sancite del “Lodo Bottai”: il documento si rivelò, ancora una volta, a esclusivo vantaggio di Torlonia, che ottenne un aumento dei canoni di affitto, l’obbligo di coltivare parte dei terreni a barbabietole e il pagamento di un affitto particolare per i terreni non coltivati a barbabietole, calcolato sulla base del valore della produzione di queste ultime per ettaro. Ovvero chi non coltivava questo prodotto comunque doveva pagare ai padroni il reddito, che questi avrebbero guadagnato con quella coltura. La situazione rimase invariata fino agli anni della riforma fondiaria, nonostante le continue rivendicazioni dei contadini.
Articolo di Antonella Saragosa
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