Morro d’Oro è un comune italiano di 3.651 abitanti della provincia di Teramo in Abruzzo. Morro d’Oro è un piccolo centro della provincia di Teramo, da cui dista 28 km, sito a cavallo delle vallate del Tordino e del Vomano. Il suo territorio si estende per 28.18 km²; gli abitanti al Censimento del 21 ottobre 1991 erano 3.015 unità; al 31 dicembre 1995 ne risultavano 3.190; segno che il Comune, dopo una fase ventennale di spopolamento (dai 3.215 del 1961 ai 2.758 del 1981) è in continua crescita demografica.
Tutto ciò grazie alla sua ubicazione strategica (12 km dal mare e 40 dalla montagna) e alle sue mutate condizioni economiche: da un’economia esclusivamente agricola – ed in prevalenza a mezzadria – ad una più integrata agricola-artigianale-industriale. Dunque, la sua economia è basata, da una parte sull’agricoltura, però di tipo avanzato e a colture selezionate (ortaggi e frutteto), oltre a quelle tradizionali: cereali in genere; dall’altra sul terziario (artigianato edile e, in minor misura, commercio); ma vi è anche un adeguato sviluppo industriale, che assorbe una mano d’opera di circa 300 unità. Storia Le origini di Morro d’Oro risalgono al Medioevo: probabilmente legate all’epoca degli incastellamenti (VIII – X secolo); ma, notizie probanti della sua esistenza non sono disponibili prima di un documento del 1021, che parla di una donazione fatta da Adelberto De Aprutio in favore del Monastero di Montecassino e in cui compare il tenimento di Muro e si menziona di un Castello Veccio. Altri documenti del 1101 e del 1128, in cui compare il termine Murum (o Morrum), testimoniano ulteriormente della sua esistenza. Nel XII secolo il territorio era infeudato a Trasmondo di Castelvecchio; ma dopo il 1200 anche Morro entrò nella zona di influenza degli Acquaviva, come, peraltro, era avvenuto, o avvenne in seguito, per gli altri paesi limitrofi, da Atri fino al fiume Tronto. Nei secoli successivi le sorti di Morro, naturalmente, si identificarono con quelle della famiglia Acquaviva, sotto la cui giurisdizione rimase fino ai primi del Settecento. A tutto il 1807, la comunità di Morro fu aggregata amministrativamente a Notaresco; con il governo del Re di Napoli, Gioacchino Murat, in quell’anno fu provvisoriamente aggregata a Montepagano; però, già nel 1808 fu resa nuovamente autonoma, in linea di massima nella configurazione territoriale attuale. Il toponimo Morro d’Oro, le cui origini, come abbiamo visto, sono indefinite (Murus, Murrum, Morrum, poi nel 1567 compare Moro, nel 1601 Murro e nel 1703 Morra) ha la sua definitiva denominazione in quello attuale, giusto Regio Decreto 13 dicembre 1863, n. 1616 ed in base alla delibera Consiliare del 18 ottobre, che così recitava: “… considerato che il Comune per la fertilità dei terreni è stato sempre abbondante, ritenendo che d’antico tempo gli è stato dato sempre l’epiteto di Morro d’Oro, ha deliberato la parola aggiunta [d’oro] debba essere scritta coll’apostrofo…”. Monumenti e luoghi di interesse Abbazia di Santa Maria di Propezzano: la sua esistenza è accertata negli anni a cavallo dal 930 al 960, ma una consolidata tradizione, non probante e dai tratti a volte fantasiosi, la fa risalire al 10 maggio del 715 d.C. Si tratta di un complesso abbaziale in stile romanico-gotico, con la tipica disposizione dei conventi benedettini, perfettamente conservato nella struttura originaria, in quanto anche i pochi restauri a cui è stato soggetto sono stati eseguiti con perfetta aderenza all’origine, ivi compreso anche il materiale impiegato. Chiesa del SS. Salvatore e San Nicola, sita nel capoluogo: dopo recenti lavori di recupero e restauro sono venute alla luce le tracce della prima chiesa romanica all’interno della attuale ricostruzione che risale al 1331, opera di Gentile da Ripatransone.
All’interno del monumento sono presenti altari lignei del 1500 e 1600, nonché tele del Ragazzini (del 1600) e una statua della Madonna in terracotta di scuola atriana del 1500, oggi perfettamente restaurati. Nella parte sotterranea, attraverso un percorso archeologico, sono visibili e visitabili le tombe e le fosse per i cereali scoperte durante i lavori di consolidamento delle fondazioni delle pile centrali. L’impianto dell’edificio è molto simile a quello di Propezzano (salvo una piccola differenza della larghezza delle navate lateriali) e sono identici anche tutti i particolari delle colonne e capitelli. Convento di Sant’Antonio Abate, circa 2 km ad ovest del capoluogo, chiesa romanica oggi non più esistente (è rimasto solo il muro maestro verso il convento recuperato da un privato; notizie certe della sua esistenza risalgono al 1260 e la leggenda vuole che sia stata visitata da san Francesco d’Assisi, che fu in Abruzzo almeno tre volte, nel 1215, nel 1220 (o 1222) e nel 1225. Soppresso definitivamente per ordine di Giuseppe Bonaparte e successivamente di Gioacchino Murat, entrambi Re di Napoli, non fu più riaperto. Da recenti studi , risulta che la prima chiesa, oggi non più esistente sia stata edificata dai benedettini intorno al IX secolo; il piano terra della parte conventuale è coeva e il chiostro è delle stesse dimensioni di quello di Santa Maria di Propezzano; il primo piano è una sopraelevazione probabilmente riferibile all’ampliamento attestato al XIII secolo. Tenuto in abbandono per circa tre secoli, è stato discretamente recuperato dall’attuale proprietario, così che è ancora possibile ammirarne la struttura originaria esterna ed alcune parti interne. Nelle immediate vicinanze del convento di Sant’Antonio Abate, recentemente (2008-2010), nella zona chiamata Piana dei Cesari, dopo complessi lavori di miglioramento fondiario, sono venute alla luce possenti strutture murarie (opus caementicium) della parte produttiva di una grande azienda italico-romana, estesa per oltre 4 ettari, per la produzione di olio, vino e garum, di epoca tra il III secolo a.C. e il III secolo d.C.. La parte residenziale (nei paraggi) è ancora da scoprire. I reperti sono visibili nel Museo archeologico Romualdi di Notaresco.
I LUOGHI SACRI
Chiesa di San Antonio Abate
Nel Provinciale Vetustissimum (1334-1344) Morro d’Oro risulta tra gli insediamenti francescani della Custodia Aprutina. I locali del convento, di cui restano solo tre bracci voltati a crociera, furono terminati con molta probabilità nel XVII secolo ma, abbandonati in seguito alla soppressione napoleonica, già nel corso dell’Ottocento erano stati riconvertiti e destinati ad usi agricoli. Della chiesa, ad aula unica coperta a tetto, sopravvive solo la facciata sulla quale si apre il portale trecentesco, simile per tipologia a quello di Teramo e Campli, che oggi immette in una cappella ricavata dall’ambiente d’ingresso della chiesa originaria. Diametralmente opposta alla chiesa è ancora visibile una caratteristica torre colombaia.
Chiesa di San Salvatore
La chiesa di San Salvatore sorge al centro dell’abitato di Morro d’Oro, non molto distante dall’abbazia di Santa Maria in Propezzano, della quale essa era sicuramente dipendenza nel XVI secolo. Sin dagli inizi del Trecento entrambe le chiese erano patronato della famiglia Acquaviva, del ramo dei duchi di Atri e conti di San Flaviano. Utili notizie sulla storia di San Salvatore sono fornite dall’iscrizione posta accanto all’ingresso laterale del fianco destro, nella quale sono citati il papa del tempo, Giovanni XXII, il sovrano regnante, Roberto d’Angiò, e il feudatario del luogo, Francesco Acquaviva, nonché la data 1331 e il nome del “magister Gentilis de Ripatransoni“. Esiste qualche dubbio interpretativo riguardo l’intervento di Gentile di Ripatransone, che secondo il Gavini (Gavini 1927, edizione 1980) dovrebbe essere il costruttore o l’impresario dei lavori piuttosto che l’architetto. La giustificazione data dall’autore risiede nel fatto che i Benedettini avevano l’uso di elaborare lo schema dell’edificio per poi farlo eseguire da maestranze scelte. Da ciò si è potuto ipotizzare che il termine “magister” stia ad indicare forse uno scultore, se si attribuisce a Gentile il bassorilievo con l'”Agnus Dei” che porta inciso il suo nome. La stessa data del 1331 sembrerebbe da prendere come termine “ante quem” piuttosto che come riferimento cronologico preciso, dal momento che non vi sono elementi sufficienti per ricondurre la costruzione dell’edificio proprio a quell’anno. I caratteri stilistici della chiesa non permettono comunque di allontanarsi troppo da questa data. Al di là delle incertezze di carattere storico e documentale, dal punto di vista architettonico la chiesa presenta una struttura molto vicina a quella dell’abbaziale di Santa Maria di Propezzano, rispetto alla quale è sicuramente successiva. La pianta è rettangolare di circa 20 metri per 40, suddivisa in tre navate ciascuna di cinque campate. L’abside è assente e le ultime campate inizialmente svolgevano la funzione di coro mentre ora sono usate come presbiterio e sacrestia.
Santa Maria di Propezzano – Il Chiostro
Al XIV secolo risale anche il chiostro a pianta quadrata, dalle forme semplici ed armoniose. Il portico è caratterizzato da ampie arcate a tutto sesto e da pilastri poligonali dal capitello cubico smussato agli angoli; il loggiato superiore è stato realizzato in un secondo tempo, forse nel Cinquecento, con due arcatelle su colonne per ogni arcata del portico. Nelle lunette del chiostro si conservano gli affreschi seicenteschi realizzati dal pittore di origine polacca Sebastiano Majewski.
Santa Maria di Propezzano – L’abbazia
Il complesso di S. Maria di Propezzano sorge nella valle del Vomano a poca distanza dall’abitato di Morro D’Oro. Le origini dell’abbazia sono legate alla leggenda dell’apparizione della Vergine propizia ai miseri (da cui Propezzano) avvenuta il 10 maggio del 715 nel luogo dove sorgeva già una chiesetta, che su richiesta della Madonna fu ampliata. La notizia dell’apparizione è riportata nella bolla pontificia con cui Bonifacio IX concede alla chiesa delle indulgenze (Bindi, rist. anast. 1889), ed è stata tramandata per mezzo di un’iscrizione quattrocentesca affrescata sulla facciata della chiesa ed attraverso episodi dipinti ad affresco sia nella chiesa (‘400) che nel chiostro (‘600). L’esistenza sul luogo di una chiesetta precedente il 715 non trova molte conferme a livello documentario e strutturale. I dati storici che si possono trarre dall’iscrizione di facciata, oggi molto lacunosa, lasciano spazio in realtà a non poche contraddizioni, come ha puntualmente rilevato l’Aceto nel suo studio sull’argomento (Aceto 1986); né emergono tracce strutturali riferibili ad una primitiva chiesa del VIII secolo.
Tuttavia alcuni frammenti scolpiti reimpiegati come materiale da costruzione nell’odierna facciata, posso stilisticamente datarsi all’VIII secolo. In particolare i rilievi sono vicini ad alcuni frammenti di nastri intrecciati provenienti da S. Giusta di Bazzano e da S. Giustino a Paganica, tanto da far pensare per essi ad una stessa mano, capace di “non generiche somiglianze” con manufatti longobardi dell’età liutprandea (Aceto 1986). Si conservano viceversa evidenti le tracce di un impianto a navata unica con abside semicircolare, databile all’XI secolo. Allo stesso periodo possono riferirsi il portale maggiore ed alcune sculture erratiche rinvenute nella chiesa. L’analisi dettagliata delle strutture assegna invece la chiesa odierna ad una terza fase costruttiva riferibile al XIV secolo. Lo schema planimetrico adottato in S. Maria di Propezzano presenta chiari influssi borgognoni ed insieme caratteri tipologici che possiamo definire tardo romanici; le scelte compositive in esso adottate sono accostabili alle soluzioni sperimentate nel duomo di Atri e nella chiesa cistercense di S. Maria Arabona. L’interno, completamente realizzato in cotto, presenta una pianta rettangolare divisa in tre navate da archi a tutto sesto ricadenti su piloni con semicolonne disposte in senso longitudinale e lesene trasversali di collegamento alla volta a crociera. La semplice geometria della forma cubica dei capitelli è ingentilita dal colore caldo del cotto, lavorato con particolare accuratezza. Sulla terza arcata di sinistra si conserva un interessante ciclo di affreschi databile al 1499, che narra le vicende della fondazione di S. Maria ed un’Annunciazione. Nel presbiterio, rialzato da bassi gradini e senza absidi, troviamo la stessa scansione in campate della navate, ma gli archi sono a sesto acuto ed i pilastri polistili sostengono una volta a crociera con costoloni. La coerenza strutturale dell’impianto fa ritenere che la chiesa sia stata concepita in maniera unitaria, tuttavia il carattere più spiccatamente gotico del coro rispetto alla navate, è spia di una variazione di programma in corso d’opera. L’Aceto, nel suo accurato studio sull’argomento, giunge ad ipotizzare che l’architetto di S. Maria abbia lasciato il cantiere a lavori non ancora conclusi, e senza la sua guida si sia proceduto nella navata ad una semplificazione delle forme e all’adozione di soluzioni più arretrate. Lo studioso giunge anche a dare un nome all’architetto, che identifica con Raimondo di Poggio, lo scultore documentato ad Atri alla realizzazione dei portali del duomo, al quale è attribuito anche il disegno del portale laterale di Propezzano, la cosiddetta “Porta Santa” (per approfondimento vd. Aceto 1986). L’omogeneità dello spazio interno è negata dall’ampia facciata, che mostra in maniera chiara il succedersi di diverse fasi costruttive, poco armonizzate tra loro. Il corpo centrale è il tratto più antico, corrispondente alla chiesa romanica, mentre i due corpi laterali sono realizzati nel Trecento, al momento dell’adozione delle tre navate. Alla seconda metà del Quattrocento risale il nuovo rimaneggiamento che conferisce l’aspetto definitivo all’intera facciata; i lavori sono operati su iniziativa dei cardinali Acquaviva, abati commendatari dell’abbazia di Propezzano.
Al corpo centrale viene addossato il piccolo portico a tetto con tre archi a tutto sesto nella fronte ed uno a lato (la data dipinta sull’architrave, molto lacunosa, da alcuni letta 1285, può essere in realtà anche decifrata 1466); un rosone più ampio, caratterizzato dal semplice degradare di cerchi concentrici in cotto, sostituisce l’antico rosone romanico, parzialmente occultato dal portico e non più in asse (riaperto in occasione degli ultimi restauri); la terminazione, in origine a spioventi, assume un profilo rettilineo, con un motivo ad archetti ciechi di raccordo tra le parti. Allo stesso intervento si può ricondurre il montaggio in facciata della cosiddetta Porta Santa, come lascia intuire lo stemma degli Acquaviva scolpito tra i capitelli. In origine il portale era collocato nel prospetto posteriore, un ingresso monumentale progettato forse per regolare il flusso dei fedeli che partecipavano numerosi alle festività celebrate nella chiesa. A differenza del portale maggiore che non presenta decorazioni, fatta eccezione per l’affresco dipinto nella lunetta raffigurante una Madonna con il Bambino, il portale laterale esibisce un ricco ornato, tale da renderlo il fulcro decorativo di tutta la composizione. Negli stipiti si alternano colonnine a doppio nodo, a busto liscio e a tortiglione spezzato, che sorreggono piccoli e rigogliosi capitelli; l’architrave liscio contrasta con la fitta decorazione dell’archivolto, dove si dispongono delle palmette, delle foglie a punta di diamante, un motivo geometrico e un tralcio con motivi vegetali ed animali. La decorazione della Porta Santa è generalmente attribuita a Raimondo di Poggio, per via delle evidenti analogie che presenta con il portale laterale del duomo di Atri, firmato dallo scultore e datato 1302. Secondo l’Aceto lo scultore-architetto Raimondo ha disegnato il portale, eseguito poi dalla sua bottega, nella “seconda parte del primo decennio del Trecento”, dopo quindi l’intervento ad Atri. (Aceto 1996). Al XIV secolo risale anche il chiostro a pianta quadrata, dalle forme semplici ed armoniose. Il portico è caratterizzato da ampie arcate a tutto sesto e da pilastri poligonali dal capitello cubico smussato agli angoli; il loggiato superiore è stato realizzato in un secondo tempo, forse nel Cinquecento, con due arcatelle su colonne per ogni arcata del portico. Nelle lunette del chiostro si conservano gli affreschi seicenteschi realizzati dal pittore di origine polacca Sebastiano Majewski. Al 1597 risalgono invece gli affreschi che ornano le pareti del refettorio con scene rappresentanti sempre le storie della Vergine cosiddetta del “Crognale”, voce dialettale che indica l’albero di Corniolo vicino al quale avvenne la miracolosa apparizione
Santa Maria di Propezzano – La leggenda del crognale
Il ciclo degli affreschi all’interno della chiesa, risalenti al XV secolo, ripetuto sulle pareti del refettorio dell’annesso convento, riporta in modo sintetico il miracolo dell’apparizione della Madonna a tre arcivescovi tedeschi, che di ritorno dalla Terrasanta con alcune reliquie, sostano in questo luogo vicino ad un albero di corniolo.
La Madonna “Propizia” (da cui il nome S. Maria di Propezzano) in sogno ordina ai tre arcivescovi di erigere, in quel luogo, una chiesa, che verrà consacrata da Papa Gregorio II, probabilmente nel 715. Il riconoscimento del luogo sacro è attestato anche nel testo dei privilegi e delle indulgenze concessi alla chiesa dai papi Bonifacio IX e Martino V.
Santa Maria di Propezzano – La porta santa
Portale monumentale finemente scolpito in pietra. Colonnine e piedritti, a coppie simmetriche, sono disposti alternativamente secondo la modanatura a sguscio ed unificati medianti semplici basi e capitelli, scolpiti a foglie larghe e, solo uno con una testina umana. Nell’archivolto sono presenti quattro serie di cornici degradanti con numerosi fregi a rilievo, tra cui quello a punte di diamante, di derivazione cistercense.
Nelle sue linee generali è molto simile al portale laterale destro del Duomo di Atri, datato 1302 e firmato dallo scultore abruzzese Raimondo del Poggio, tanto che è comunemente attribuita allo stesso la sua realizzazione.
L’artistico portale, a lato del portichetto d’ingresso ed in linea con la navata laterale sinistra, un tempo era ubicato dalla parte del coro, dove è ancora visibile la tompagnatura. Il suo trasferimento è avvenuto in epoca imprecisata; è anche ipotizzabile che ciò sia avvenuto in occasione della trasformazione quattrocentesca della chiesa, sotto il patronato feudale del duca Giulio Antonio Acquaviva, quando si restaurava anche la facciata. Si ignora pure quando tale portale sia stato elevato a dignità di Porta Santa.
Il Palma, nella sua Storia riferisce di “…una porta secondaria di tavole di sambuco a piè della destra minor nave, che chiamano Porta Santa, la quale si dischiude solamente nella sacra, cioè nella festa di 10 Maggio e dell’Ascensione del Signore, dalle sere precedenti…” Visualizza le foto d’epoca
In tali ricorrenze, per solennizzare la fondazione della Chiesa e l’evento miracoloso, ancora oggi si apre la Porta Santa per lasciar passare la Madonna portata in processione (le cosiddette “passate”), con la possibilità di lucrare l’indulgenza plenaria, secondo il privilegio riconosciuto da Papa Gregorio II, poi rinnovato dai successori Bonifacio IX nel 1394 e Martino V nel 1427.
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