Come distruggere una terra meravigliosa, annientare la vita e farla franca. Il profitto a tutti i costi quel che costi, altro che difesa della vita umana. Quella che vi racconto ora è una strage realizzata alla luce del sole, sotto l’occhio sempre distratto e compiancete dello Stato, della regione, della provincia, e dei comuni. Il vaso di Pandora in terra abruzzese è stato appena sfiorato. A poca distanza in linea d’aria, a valle, c’è anche la Montecatini di Piano d’Orta. di Gianni Lannes
L’Espresso di Melissa di Sano
A valle, poco più giù dello stabilimento, ci sono i pozzi dell’acqua potabile che rifornivano tutta la Val Pescara, chiusi per inquinamento da solventi clorurati solo nel 2007, su denuncia delle associazioni ambientaliste dopo il sequestro di una prima discarica. Ma ancora nel 2012 i monitoraggi, relativi alla contaminazione della falda superficiale, mostravano un superamento delle concentrazioni soglia: per il piombo di 61 volte, per il mercurio di 2100 volte.
E’ in questa stessa acqua che le analisi dell’Istituto Superiore di Sanità hanno riscontrato anche la presenza di cloruro di vinile, tricloroetilene, cloroformio: tutti agenti cancerogeni. “L’acqua contaminata da sostanze di accertata tossicità”, si legge nella relazione degli esperti, “è stata distribuita in un vasto territorio e a circa 700 mila consumatori, senza limitazioni d’uso e controllo, anche per utenze sensibili come scuole e ospedali”.
Tra silenzio e omertà a ogni livello, più di 700 mila persone in tutta la Val Pescara hanno bevuto l’acqua inquinata dai rifiuti chimici. Quell’acqua che credevano sicura, e su cui oggi l’Istituto superiore di Sanità si esprime così: “Una massiva contaminazione delle acque, superficiali, sotterranee e destinate al consumo”. In tanti sapevano, istituzioni comprese. Nessuno ha avvertito i cittadini, abbandonandoli al loro destino. Non ci sono ricerche epidemiologiche e manca un registro dei tumori, ma esiste uno studio preliminare redatto dall’Agenzia sanitaria regionale che copre gli anni dal 2004 al 2012, e mostra come i residenti della zona di Bussi-Popoli e dell’area metropolitana di Pescara abbiano alte frequenze di tumori rispetto alla media regionale. Lo studio, realizzato in poco più di un mese, non specifica la percentuale di tumori secondo la sede, cioè gli organi bersaglio. A questo proposito però si è espresso Marco Lombardo, presidente della Lega italiana tumori (Lilt) di Pescara, e per molti anni direttore del dipartimento di Oncologia dell’ospedale pescarese. “Nella zona di Bussi”, ha detto Lombardo, “abbiamo rilevato una maggiore concentrazione di tumori urologici rispetto al resto dell’Abruzzo. L’incidenza di neoplasie alla vescica in quel territorio è sicuramente superiore al resto della regione”
Intanto, il processo in Corte d’Assise, a Chieti, è arrivato alle battute finali e la sentenza dovrebbe arrivare a giorni. Il processo di Bussi, come viene ormai comunemente chiamato, è con ogni probabilità il più importante della storia dell’Abruzzo. L’inchiesta ha portato alla sbarra 19 persone ai vertici della
potente multinazionale chimica Montedison con l’accusa di disastro doloso e avvelenamento doloso delle acque. Ma questo processo è anche uno scontro tra titani: Montedison e Solvay, la società belga attiva nel settore chimico e delle materie plastiche che nel 2002 ha acquistato il sito di Bussi da Ausimont (della galassia Montedison). La Solvay si è costituita parte civile per “il danno di natura patrimoniale che subisce ancora per il ‘congelamento’ della commerciabilità dei terreni, ma anche quello futuro e potenziale”. A guidare l’accusa sono i pm Anna Rita Mantini e Giuseppe Bellelli, che hanno analizzato Alla sbarra ci sono 19 imputati, tra dirigenti ed ex dirigenti del polo chimico, accusati di disastro ambientale e avvelenamento delle acque. I fatti contestati partono dal 1963 e ripercorrono mezzo secolo di storia della Montedison. In mezzo, una serie di colpi di scena. Qualche mese fa, il giudice che avrebbe dovuto presiedere la Corte d’Assise, Geremia Spiniello, è stato ricusato. L’istanza di ricusazione era nata da una frase pronunciata da Spiniello durante un’intervista. “Daremo giustizia al territorio”, aveva detto. Per gli avvocati dei dirigenti Montedison, quella frase rappresentava “l’anticipazione che l’esito del processo sarebbe stata una sentenza di condanna”. Oggi, dopo più di cinque anni, il processo è arrivato alla fine. La sentenza è attesa per il 12 o il 19 dicembre.
LA CONTAMINAZIONE DELLE ACQUE Sulla “politica” da tenere riguardo ai dati ambientali, all’interno della Montedison non sembravano esserci dubbi. In una delle lettere sequestrate, un promemoria sul “Mercurio nella Val Pescara” datato gennaio 1976, si legge: “Per il momento il lavoro si deve svolgere senza troppa pubblicità per non attirare interessi indiscreti e, data la nostra ben nota situazione, pericolosi”. La linea da seguire è chiara e viene “spiegata” in più di un documento. “Ho insistito sulla riservatezza, perché sappiamo come stiamo, come sono le acque a monte e come sono quelle a valle per i due fiumi che ci interessano: Tirino e Pescara”. E ancora, sul vincolo del segreto esteso a terzi: “Decideremo solo noi se, come, quando e a chi rendere noti i risultati dell’indagine”.
MERCURIO NEI PESCI Sapevano cosa stavano facendo. Chiedevano il silenzio, ma tra di loro i dirigenti Montedison si parlavano senza peli sulla lingua. Ecco cosa scrivevano in una nota “interna” sulle analisi ambientali: “Sembra indubbia la relazione fra gli scarichi del nostro impianto clorosoda e la presenza di mercurio nei pesci”.
I CLORURATI NELL’ACQUA POTABILE Tra le società di consulenza a cui Montedison faceva riferimento, c’era la Praoil. Questo è un estratto del rapporto Praoil del 1992: “Nelle acque emunte da pozzi per l’approvvigionamento di H2O potabile a distanza di circa 7 chilometri dallo stabilimento vi è presenza di clorurati in quantità superiore ai valori limiti”. Tali valori, come si sottolinea nello stesso documento, riguardano ovviamente il tetto massimo imposto per la potabilità delle acque.
Tra gli atti trovati dalla Guardia Forestale nel corso delle indagini, c’è una relazione commissionata alla Erl, una società esterna di consulenza. E’ del 1993 e avverte la Montedison di qualcosa che già sapeva: “La discarica autorizzata per rifiuti inerti di categoria 2A contiene invece tossici e nocivi (mercurio, piombo e clorometani)”. Nella stessa relazione, si legge: “Considerando che la fabbrica è posta alla confluenza del fiume Tirino nel Pescara, possono essere considerati possibili ricettori di inquinamento via acqua tutti gli abitanti che risiedono lungo il fiume Pescara”. La Erl non era stata messa a conoscenza della presenza dei pozzi di acqua potabile a valle della discarica.
IL RISANAMENTO “NON CI CONVIENE” La Erl non si limitò a segnalare alla Montedison la grave situazione di inquinamento, ma propose investimenti per il risanamento, oltre a uno studio per capire gli effetti sulla salute dei cittadini. Tutte cose che l’azienda decise di non fare. Tanto che su un appunto riconducibile ai vertici del polo chimico, con riferimento alle proposte della società di consulenza, c’è scritto “Non ci conviene”. I numeri dicono che gli investimenti in campo ambientale della Montedison passarono da 36 miliardi di lire del 1991, a soli 6 miliardi nel 1994. Un bel risparmio nel giro di due anni.
I DATI FALSIFICATI Nel materiale sequestrato, ci sono le analisi falsificate. I dati sul mercurio dell’ottobre del ’98 ad esempio, lasciano interdetti. Da un lato ci sono i risultati reali, segnati con un appunto a penna, “Vero”. Dall’altro c’è lo stesso documento con la scritta “Falso”, a promemoria. Ovviamente, solo i dati falsi verranno resi noti dall’azienda. La differenza tra l’uno e l’altra è incredibile, parliamo di riduzioni del dato reale di decine di volte: da 250 a 20, da 1250 a 100.
LE ANALISI MANIPOLATE Negli anni, sono stati effettuati una lunga serie di carotaggi per verificare i livelli degli inquinanti. Ecco cosa scrivevano a tal proposito i dirigenti Montedison, riguardo ai dati riportati dal tecnico del laboratorio privato (tale Maurizio Piazzardi) a cui erano stati commissionati gli esami. Il sondaggio S5 “è critico per clorometani nel terreno da analisi di Piazzardi. Si toglie l’analisi di Piazzardi e si mettono i nostri valori ‘corretti’, lasciando l’indicazione del carotaggio allo stesso punto effettivo”. E lo stesso accade per altri sondaggi: “Si corregge con nostro S9”.
E’ lo stesso tecnico esterno, Piazzardi, a scrivere nel 2001 una mail dai toni allarmati a Giuseppe Quaglia, allora responsabile del laboratorio Ricerca e analisi della Montedison, oggi presidente del Consorzio rifiuti della Valle Peligna. Ecco alcuni stralci della mail: “Non mi sembrava ci fossimo accordati per una riduzione sistematica e sostanziale di tutte le concentrazioni rilevate per il mercurio nelle acque di falda”. E ancora, continua Piazzardi: “In questo modo emerge che il laboratorio Ausimont produce dati di un ordine di grandezza inferiori a quanto determinato da Innolab, sia per la ricerca di mercurio che di solventi clorurati”. E infine: “Avevo già notato che le analisi sulle acque del giugno 1998 erano quantomeno sospette, con concentrazioni di mercurio in falda sempre bassissime”. Oggi Quaglia è a processo.
ANCORA SENZA BONIFICA In un appunto sequestrato nell’archivio aziendale in merito alle analisi ambientali, si legge: “Occorre non spaventare chi non sa”. In maiuscolo, sottolineato. E’ così che gli abruzzesi sono rimasti all’oscuro per quarant’anni dei veleni che mettevano nel bicchiere. L’unico a denunciare quanto stava accadendo fu un assessore comunale di Pescara, nel 1972. Si chiamava Giovanni Contratti e intimò alla Montedison di dissotterrare i veleni. Rimase isolato e ben presto scomparve dalla scena politica abruzzese.
Oggi, sebbene i pozzi contaminati dalle scorie siano stati chiusi, le sostanze inquinanti continuano a finire nel fiume Pescara con grave danno per l’ambiente, e non solo. Lo dicono gli ultimi studi, confermando la presenza di alte concentrazioni di mercurio nel pesce (Università di Teramo nel 2009), e nei sedimenti del fiume Pescara (Arta nel 2012).
“Emerge un quadro angosciante”, afferma Augusto De Sanctis del Forum abruzzese dei Movimenti per l’acqua, “e questo, al di là delle risultanze processuali, deve assolutamente portare alla bonifica da parte di chi ha inquinato. Sono passati sei anni dalla perimetrazione del sito nazionale di bonifica, e non è stato pulito neppure un granello di sabbia”. La proprietaria dell’area, e in particolare della mega discarica, è la Edison spa.
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