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L’arte orafa in Abruzzo

oreficeriaL’oreficeria abruzzese ha origini che risalgono al XIII secolo. “Il metallo prezioso, acquistato con le fatiche assidue di più generazioni, custodito per anni ed anni nel forziere profondo, rimesso in luce ad ogni nuovo giorno di sponsali…” così Gabriele D’Annunzio nel Trionfo della Morte (1894) si soffermava a descrivere l’uso che le genti abruzzesi facevano dell’oro, molto spesso unica ricchezza e ornamento delle instancabili contadine tratteggiate dalle pennellate veriste del Patini. L’oreficeria abruzzese ha origini che risalgono al XIII secolo, quando in una regione povera e impervia, dalle vie di comunicazione difficili e priva di risorse minerarie, mutano le condizioni politiche e sociali grazie agli Svevi.

Molti artigiani giungono in Abruzzo per la realizzazione di grandi opere artistiche. Sulmona, che al tempo di Federico II di Svevia fu capitale sia amministrativa sia economica della regione (fu anche prescelta a sede del Giustizierato e di una delle sette fiere annuali del Regno), rappresenta il crocevia della cultura. La città peligna diventa ben presto la città campione della scuola orafa. La lavorazione dell’oro si diffonde in tutta la regione con la nascita di diversi centri artigianali. Calici, patene, pastorali, reliquiari, croci processionali lavorati mediante la tecnica dello sbalzo e del cesello e arricchiti di smalti e pietre caratterizzano l’oreficeria abruzzese dalle origini. Si diffonde così la saggiatura dei metalli preziosi per accertare la perfetta rispondenza della lega alla normativa corrente. Il manufatto viene sottoposto a verifica e contrassegnato con il punzone, bollo del luogo. Nel 1406 re Ladislao di Durazzo autorizza il rinnovo del marchio degli orefici di Sulmona consegnando all’orafo Nicola Piczulo il sigillo “SUL” per segnare tutte le opere d’oro e d’argento. La punzonatura in Abruzzo va in disuso nel corso della prima metà del XVI secolo. Ciò nonostante l’arte argentaria venne praticata nel XVII e nel XVIII secolo. Oggi è possibile ammirare questi capolavori sia nel Museo civico di Sulmona, dove c’è una sezione dedicata all’argenteria e oreficeria della scuola sulmonese, sia nelle chiese dell’aquilano e del pescarese.

oreficeria-1Nella seconda metà del XVIII secolo l’influenza di Napoli e Roma condiziona l’attività degli artigiani abruzzesi che comunque dimostrano una grande abilità nel rendere i manufatti d’oro e d’argento davvero originali. Pescocostanzo e Scanno insieme a L’Aquila videro nell’800 l’affermazione di artisti qualificati che diedero vita a quell’oreficeria legata agli usi e costumi delle classi popolari, tradizione che non ha conosciuto tramonti. Nei centri di Scanno e Pescocostanzo i primi manufatti vengono realizzati in argento. Tra gli oggetti ancora oggi conservati (alcuni esemplari più antichi si possono ammirare nell’antica oreficeria della famiglia Di Rienzo di Scanno) vi sono bottoni, grapp e ciapp (fibbie e fermagli per gonne e corpetti) decorati con figurazioni simboliche; a queste si aggiungono fermagli per mantelle da uomo, fibbie per scarpe, spilloni per il copricapo femminile, aghi e ditali per il ricamo e il cucito, fermagli passafilo (per sostenere e far scorrere il filo di lana nel lavoro a maglia) e altri oggetti. Ancora oggi questi oggetti affascinano tutti coloro che soggiornano a Scanno, nota località turistica. Acquistati i costumi scannesi sia femminili sia maschili, i turisti richiedono ai Di Rienzo la realizzazione di tutti gli ornamenti che un tempo completavano l’abbigliamento tipico del centro lacustre.

Tra gli oggetti curiosi prodotti dai maestri orafi c’era anche la “teca” che i fidanzati si scambiavano per mantenere il legame amoroso. Usate prevalentemente dai pastori che andavano lontano, le teche conservavano capelli o peli intimi dell’innamorata. Durante la fiorente stagione del XIX secolo si sviluppa in Abruzzo la tecnica della filigrana in oro e argento. Questa lavorazione permette di realizzare manufatti leggerissimi, di grande effetto decorativo, consistenti in sottilissimi fili intrecciati, battuti e saldati intorno ad un telaio seguendo motivi spiraliformi e floreali. I disegni, da cui ancora oggi gli orafi prendono spunto, hanno somiglianze con il merletto del tombolo (altro tipico prodotto artigianale). La lavorazione in filigrana prendeva origine dalle opere di Nicola da Guardiagrele, artigiano eclettico citato dal Vasari e dal Filarete per le sue eccezionali doti artistiche, che ha contribuito a imprimere all’oreficeria abruzzese caratteristiche tipiche.

I gioielli in filigrana, pur unendo molti centri della regione (Pescocostanzo, Sulmona, Scanno, L’Aquila, Chieti, Lanciano, Vasto, Ortona, Orsogna, Casoli, Castiglione Messer Marino, Guardiagrele, Teramo, Campli, Nereto, Giulianova, Penne), vengono realizzati con varianti che contraddistinguono le varie località. Ne è un esempio l’oggetto simbolo dell’Abruzzo: la “prsntos”, medaglione a forma di stella, con uno o due cuori al centro e contornati da spiralette realizzate in filigrana o in cordellina semplice.

Questo gioiello veniva creato con molte varianti del motivo classico sia perché ogni orafo voleva differenziarsi sia perché lo eseguiva seguendo una richiesta specifica. La presentosa, battezzata così da D’Annunzio nell’opera “Il Trionfo della Morte” veniva data dal fidanzato come “presente” per ricordare alla sposa l’impegno di matrimonio preso con lui. Gli orafi oggi realizzano la presentosa attingendo dalla tradizione per rivisitarla in chiave moderna. Simbolo della terra d’Abruzzo, questo ciondolo rappresenta uno dei doni più importanti tra quelli che venivano offerti in occasioni nuziali. Tra gli oggetti preziosi figuravano le “circej”, orecchini a navicella con pendenti formati da vaghi aurei, da perle o da chiodini sagomati oscillanti. A Scanno la madre dello sposo li regalava alla giovane infilandoglieli alle orecchie in occasione della prima visita a casa di lei. Solitamente ad ogni oggetto che le veniva donato seguiva una frase augurale come “puzza cambà cend’ann!” (possa tu vivere cent’anni), “puzz’avè fij ommn!” (possa tu avere figli maschi) etc. Anche la “cannatòra” insieme al “petto d’oro” (tuttora proposti dagli orafi) faceva parte dei doni che la famiglia dello sposo offriva alla giovane sposa. La prima (la cannatòra) è una collana girocollo, chiamata così perché veniva accostata alla gola, formata da sfere o ovali aurei decorati a sbalzo. Il “petto d’oro” o “pettorale” veniva applicato sull’abito nuziale per mezzo di due occhielli posti all’estremità. Questo gioiello era ed è tuttora realizzato abbinando festoni di lamina d’oro traforata e cesellata con ciondoli ed eventuali fili di cordoncino tubolare.

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Pare che la suocera mettesse la collana al collo della giovane nuora per investirla dell’incarico di collaboratrice nella casa-azienda familiare. Gli orafi di Scanno perpetuano la tradizione anche dell’anello nuziale. Due i tipi: il più antico è il modello con le mani congiunte su un cuore, le “manucce”. L’altro, chiamato “cicirchjat” veniva creato in fusione con il castone rettangolare decorato da bugne semplici oppure contornato da filigrana; sembra che questo anello fosse riservato agli uomini e che venisse tramandato di padre in figlio. La grande tradizione orafa a Scanno si rinsalda grazie anche all’estro della famiglia di orafi Di Rienzo. Sarà proprio uno di loro, Armando, a creare nel 1926 un altro gioiello: “l’amorino”, Questo oggetto prende spunto da un accessorio, il fermaglio passafilo, che la donna scannese indossava insieme ad altri ornamenti. Originariamente era uno spillone rigido. Di Rienzo pensò di dargli movimento, creò, smontate, la corona, le ali con l’amorino e la parte finale del ciondolino, lo impreziosì sostituendo le pietre con perle, coralli, turchesi e rubini. L’amorino ha avuto un tale successo da ricevere nel 1960 un premio a New York in occasione di una mostra internazionale. Sin dalla sua creazione l’amuleto viene ripreso da molti orafi abruzzesi.

Oggi botteghe orafe caratterizzano i centri storici delle località che hanno dato lustro a questo tipo dioreficeria-4 artigianato: Sulmona, Scanno, Pescocostanzo, Guardiagrele. Nelle scintillanti vetrine è possibile ammirare, accanto a manufatti dal design moderno, i gioielli emblemi della tradizione. Sperimentazione e memoria sono infatti il binomio sul quale puntano gli aspiranti artigiani della sezione di oreficeria dell’Istituto Statale d’Arte “Gentile Mazara” di Sulmona, nato un secolo fa con l’intento di tramandare i segreti dell’artigianato abruzzese nei settori più rappresentativi: ceramica, tessile e oreficeria. Seguiti dagli insegnanti Mauro Imperatore (arte del gioiello), Angela Presutti (progettazione del gioiello) e Nicola Ranalli (arte degli smalti) gli studenti della sezione di oreficeria di questa scuola apprendono e si cimentano nelle tecniche antiche e moderne della lavorazione dell’argento, dell’oro e dell’incastonatura di pietre semipreziose. Fucina di nuovi talenti, l’istituto si propone di continuare la grande tradizione dell’artigianato locale e di fornire nuovi spunti per ricreare una nuova “età dell’oro”. Tra gli oggetti curiosi prodotti dai maestri orafi c’era anche la “teca” che i fidanzati si scambiavano per mantenere il legame amoroso. Usate prevalentemente dai pastori che andavano lontano le teche conservavano capelli o peli intimi dell’innamorata. La presentosa, battezzata così da D’Annunzio nell’opera “Il Trionfo della Morte” veniva data dal fidanzato come “presente” per ricordare alla sposa l’impegno di matrimonio preso con lui.  

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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