Il prodotto base di molti primi piatti teramani è la “scrippella“. Molto simile alla crêpe francese, si prepara con un composto di farina, uova ed acqua da versare con un mestolo su una padella ben calda, unta con dell’olio o dello strutto. La preparazione classica è quella delle “scrippelle mbusse“, farcite con parmigiano e cannella, arrotolate, e servite mbusse, ossia bagnate, con il brodo di gallina o di maiale, come è d’uso in campagna. Con le scrippelle si preparano anche i cannelloni, farciti con ragù di carne mista o con ricotta e spinaci e conditi con il sugo. La scrippella costituisce poi l’elemento base del timballo teramano. Viene utilizzata al posto della sfoglia, tipica invece nel resto d’Abruzzo. La pietanza si prepara a strati con un ripieno di sugo di carne, pallottine e mozzarella.
Il timballo viene fatto anche in bianco, con verdure e funghi o, alla vecchia maniera, con formaggio pecorino fresco, petto di pollo lesso e sfilacciato, piselli e carciofini. I maccheroni alla chitarra rappresentano un’altra eccellenza della cucina teramana. Il termine deriva dal nome dello strumento utilizzato per il taglio della sfoglia, “lu maccarunare” simile ad una chitarra con un telaio di legno rettangolare su cui sono tesi dei sottili fili d’acciaio, distanti un millimetro l’uno dall’altro. Su di esso viene posta la sfoglia, preparata con uova e farina, che viene tagliata in lunghi e sottili maccheroni con il passaggio de “lu stennemasse” (il matterello). Condimento tipico teramano è il sugo di pallottine: minuscole polpettine di carne, preparate minuziosamente a mano con macinato di manzo, uovo, parmigiano e noce moscata. Altri primi tradizionali sono le tagliatelle, preparate con una sfoglia piuttosto spessa, condite con il classico sugo rosso o alla boscaiola; li “surgitte“, gnocchi di patate, fatti anche con l’aggiunta degli spinaci, ottimi con il sugo di castrato; i ravioli di ricotta, preparati sia dolci, con un impasto di ricotta fresca, uova, noce moscata, limone, cioccolato grattugiato, zucchero, cannella e rhum, che salati con ricotta, sale, pecorino, prezzemolo, uovo, pepe, noce moscata e maggiorana.
Conditi normalmente con sugo di carne, in occasione del Carnevale, i ravioli si fanno dolci con zucchero e cannella oppure fritti. E ancora i primi piatti della cosiddetta “cucina povera” preparati, in genere, solo con acqua e farina: oltre a “li tajarilli” (tagliolini) ideali per condimento classico è con il ragù ma è ottimo anche quello con porcini e tartufo. I piatti caratteristici della Val Vomano e della Val Fino sono le fregnacce, sfoglie lessate, condite a strati con ragù di salsiccia e formaggio pecorino e poi infornate; i cingoli di Cellino, lunghi cordoni fatti con acqua e farina e conditi con sugo di papera; i maccheroni alla mugnaia, fatti con una particolarissima tecnica di impasto. Viene preparato un panetto con uova e farina e bucato nel centro. La pasta viene lavorata circolarmente con le mani fino ad ottenere un lunghissimo maccherone che poi si taglia in vari pezzi. Si condisce con sugo di carne mista e formaggio. varie minestre, vanno menzionati “li pappicci“, pasta di forma irregolare condita con pomodoro semplice, pecorino e peperoncino, o con un soffritto di cipolla e pancetta e “li granitte“, ottenuti sgranando l’impasto nell’acqua bollente, gustosissimi con le fave fresche ed il pecorino.
Le minestre
Tra le minestre spicca la gustosissima pasta e fagioli, fatta con borlotti, un soffritto di sedano, carote e cipolla, del battuto di lardo e condita con pomodoro, maggiorana, pepe e peperoncino. C’è chi ci aggiunge anche le cotiche di maiale (prima lessate) o l’osso del prosciutto per dare più sapidità al piatto. Altre minestre sono i ceci con il pane fritto e le lenticchie preparate durante il periodo natalizio. Tipico del Natale è il brodo di cardone. L’ortaggio viene lessato e tagliato a quadretti, messo nel brodo (misto o di gallina) insieme alla stracciatella (uovo sbattuto e parmigiano). A Pasqua il brodo di stracciatella viene condito con l’indivia. Un piatto unico, tipico delle zone di montagna è la polenta di granoturco condita con salsicce, costatelle e puntine di maiale. Il prestigio della cucina teramana deriva anche dalla grande varietà di sapori e tradizioni culinarie provenienti dalle diverse zone e località del territorio. Il piatto tipico di Civitella del Tronto è rappresentato dalle ceppe, una pasta di uova, farina ed acqua, fatta a mano con l’utilizzo di un ferro (in genere da calza) su cui viene avvolto l’impasto.
Si ottiene il tal modo un maccherone con il buco. Il condimento classico è con il ragù ma è ottimo anche quello con porcini e tartufo. I piatti caratteristici della Val Vomano e della Val Fino sono le fregnacce, sfoglie lessate, condite a strati con ragù di salsiccia e formaggio pecorino e poi infornate; i cingoli di Cellino, lunghi cordoni fatti con acqua e farina e conditi con sugo di papera; i maccheroni alla mugnaia, fatti con una particolarissima tecnica di impasto. Viene preparato un panetto con uova e farina e bucato nel centro. La pasta viene lavorata circolarmente con le mani fino ad ottenere un lunghissimo maccherone che poi si taglia in vari pezzi. Si condisce con sugo di carne mista e formaggio.
I secondi
Tante ed originali sono le preparazioni che derivano in gran parte dalle tradizioni del mondo agricolo e pastorale. Il tacchino alla canzanese (da Canzano, paese della Val Vomano), è un piatto antico e tradizionale che deve la sua particolarità all’originale tecnica di preparazione. Il tacchino viene disossato e cotto per oltre dieci ore al forno a legna, assieme alle ossa, alle zampe, al collo del tacchino e a mezzo piede di maiale. Questi ingredienti contribuiscono a creare la gustosissima gelatina che si forma una volta che la pietanza si raffredda. Il piatto va servito freddo, a pezzi o anche a rollè con i sottaceti in agrodolce. Dal 2005 le aziende produttrici si sono riunite nel Consorzio del Tacchino alla Canzanese. Altrettanto gustoso è il tacchino alla neretese, (da Nereto, centro della Val Vibrata) tipico della festa di San Martino, spalmato di grasso di maiale e cucinato in una teglia al forno con aglio, vino bianco ed acqua. Tipica è anche la galantina, gallina farcita di uova, carne macinata, olive verdi, mortadella, sedano, carota ed altri sapori. Va cucinata in pentola, tagliata a fette e consumata fredda. Piatti di campagna sono il coniglio in umido alla cacciatora o imporchettato al forno, il pollo con i peperoni e la papera, il cui sugo è ottimo come condimento per le pappardelle. L’agnello costituisce la pietanza più diffusa tra i secondi. Viene cucinato al forno, alla brace o in umido come spezzatino. Durante le festività pasquali è d’uso prepararlo alla “cacie e ove” (cacio e uovo), uno spezzatino che, a fine cottura, prevede l’aggiunta di un preparato di uova sbattute, formaggio pecorino e limone grattugiato. Classiche di Pasqua sono anche le costolette di agnello impanate e fritte. Le mazzarelle sono il simbolo della cucina teramana. Si tratta di involtini a base di corata di agnello, conditi con prezzemolo, maggiorana, cipolline ed altre erbe aromatiche, avvolti in foglie di indivia o bietola e legate con le budelline dell’agnello. Vengono cucinate in padella, con l’aggiunta o meno di pomodoro, o al forno. È tradizione degustarle il Sabato Santo e la Domenica di Pasqua. Altra pietanza classica, di derivazione tipicamente pastorale, è la pecora che viene degustata arrosto o in umido come spezzatino. La preparazione più tipica è alla callara. Il termine sta ad indicare il caldaio, l’ampio recipiente di rame dove i pastori usavano cucinare la pecora nel periodo della transumanza, quando si spostavano in cerca di pascoli fino in Puglia e che nelle case contadine era d’uso appendere al camino. La pecora, in genere vecchia, viene tagliata a pezzi e messa a bollire, quindi cotta per lungo tempo con una serie di odori tipici del territorio, raccolti a mazzetto, tra cui l’alloro, il finocchietto selvatico, la salvia, la piperella, il rosmarino, la salvia, la maggiorana, il basilico ed il peperoncino. Molto simile è il coatto, tipico di Arsita, nome che sembra derivare dal termine latino coactus, “ristretto“. Si tratta di una preparazione di carne addensata. Il piatto viene preparato solo con una parte della pecora, in genere il cosciotto, cucinato in un tegame, preferibilmente di coccio, assieme ad aglio, olio, vino bianco, pomodoro ed un mazzetto di erbe. Lo si può degustare in occasione della sagra che si tiene ad Arsita in agosto durante la quale gruppi folkloristici italiani ed esteri si cimentano in canti e danze popolari. Legati al mondo della pastorizia, gli arrosticini di pecora sono il simbolo della cucina abruzzese nel mondo. Si tratta di spiedini formati da piccoli pezzi di carne ovina, infilati su bastoncini di legno, per un peso variabile di 20-30 gr. e con una presenza del 25 % di carne grassa. La cottura viene effettuata con brace o carbonella di quercia o di faggio. Si consumano in ogni angolo della provincia presso trattorie e piccoli chioschi, anche se i più genuini si trovano in montagna. Altro piatto molto ricercato è la capra cotta al forno o in umido. Particolare è la capra alla neretese (da Nereto, paese della Val Vibrata) cotta nel tegame con pomodoro e peperoni rossi, già fritti oppure arrostiti, consumata di solito nei mesi autunnali. Tipico della tradizione culinaria teramana, alla base di ogni festività contadina, è naturalmente il maiale. Il periodo in cui si inizia a degustarlo è a ridosso di Natale o a Gennaio quando c’è il rito de “lu ‘ccite de lu porche” (uccisione del maiale) e si festeggia Sant’Antonio Abate, protettore degli animali. A Cermignano, paese della Val Vomano, si celebra il Sant’Antonio con una bella festa di piazza. Qui è facile trovare i questuanti che, accompagnati da musicisti, recitano e cantano poemi e canzoni in onore del Santo. Oltre alla classica brace fatta con salsicce, “costatelle” e braciole e consumata con le caratteristiche “fuje strascinite” (verza passata in padella con alloro e peperoncino), la cucina teramana presenta pietanze di maiale uniche e particolari. La “n’docca n’docca” è un gustosissimo piatto che viene preparato proprio in occasione dell’uccisione del maiale, con le frattaglie, ossia i resti dell’animale. Piedini, cotiche, orecchi, costata e muso vengono tagliati e sbollentati per essere sgrassati e quindi cucinati con alloro, rosmarino, aglio, pepe, peperoncino. A cottura ultimata viene aggiunto del pomodoro. La “annuije” è un salsicciotto di maiale preparato con trippa, pezzetti di lardo fresco, pancetta, listelle di carne, peperoncino, rosmarino e buccia di arancia tritata, il tutto insaccato nel budello. Viene cotta alla brace, dopo poche settimane dalla sua preparazione. Curioso il nome che sembra derivi dal termine andouille, una pietanza del tutto simile preparata in Francia nei quartieri popolari delle città, a testimonianza dell’influenza della cucina francese su quella teramana. Famosissima è la porchetta, gustosa pietanza di origini italiche (X secolo a.c.). Si prepara con un maiale di piccole dimensioni, spaccato a metà e disossato. Le parti interne vengono spalmate con dello strutto, imbottite di rosmarino, aglio, sale e pepe, ed irrorate di vino bianco. La porchetta viene cotta nel forno a legna e consumata preferibilmente come companatico. La si può trovare presso i venditori ambulanti (famosi quelli di Colledara e della Val Vomano) presenti con i caratteristici furgoncini nelle piazze e nei mercati di ogni località della provincia, ma è Campli la sua vera patria: qui la si può degustare ogni giorno presso le varie macellerie del paese e soprattutto in occasione della sagra che ogni anno si svolge nello splendido scenario della bellissima piazza Farnese. Sulle tavole degli agriturismi di montagna è possibile trovare anche il cinghiale, animale selvatico che ha avuto una grande proliferazione sulla montagna teramana negli ultimi anni. Viene, in genere, preparato in umido. Un piatto particolare è costituito dalla pagliata, preparata con l’intestino del vitello da latte, tagliato a pezzi e cotto alla griglia, o al forno con cipolla, maggiorana e prezzemolo. Una citazione a parte merita il baccalà, prodotto base della dieta contadina di un tempo. Una volta cibo povero, oggi è diventato molto ricercato. Le preparazioni sono diverse: il baccalà di Natale, in padella con cipolla, sedano, castagne, noci e uva passa; in umido con le patate; arrosto, condito con salsa di olio, aglio e sedano crudo; fritto con la pastella. Diffuso in tutta la provincia è consumato, in genere, il venerdì. Le virtù rappresentano l’eccellenza della gastronomia teramana. Vengono preparate per la festa del primo di maggio nella città di Teramo, anche se oggi è possibile gustarle anche in altre località della provincia. Proposte in ogni ristorante teramano, le virtù possono essere definite ancora come un piatto domestico. Non c’è famiglia teramana, rispettosa delle tradizioni, che non si cimenti nel rito collettivo della preparazione di questa specialità. Alcuni fanno risalire il particolare nome del piatto alla maestria, alla “virtù” delle cuoche teramane; per altri tale termine sta ad indicare la qualità degli ingredienti usati nel piatto, fatto con i beni più preziosi e virtuosi offerti dalla natura. Alla base delle virtù ci sono difatti tanti e diversi prodotti stagionali. Gli ortaggi freschi come piselli, fave, carciofi novelli, spinaci, cicoria, indivia e zucchine, le erbe di stagione come la piperella, la borragine e l’aneto, i legumi secchi, quelli che un tempo costituivano le provviste che si mettevano da parte durante la stagione precedente in previsione dell’inverno: fave, lenticchie, ceci, fagioli, grano, farro. A questi prodotti si aggiungono prosciutto, cotiche, piedini di maiale e pallottine di carne. Varia è anche la scelta della pasta. Si va da quella secca di diversi formati a quella all’uovo fatta in casa: i tagliolini, i maltagliati, le caratteristiche orecchiette di prete e tante altre. La preparazione è lunga ed elaborata: occorrono almeno due giorni. Ogni singolo prodotto, dagli ortaggi ai legumi, alle paste viene cotto separatamente, poichè ognuno ha tempi di cottura diversi. Solo al termine vengono uniti ed amalgamati in un’unica caldaia. Il risultato è uno straordinario tripudio di sapori in armonia tra loro. La cucina teramana vanta anche un’importante tradizione marinara grazie alla flotta peschereccia di Giulianova e al suo mercato ittico. Il menù tradizionale si apre con una lunga serie di antipasti freddi e caldi. Famosi sono i crudi a base di scampi, calamaretti e papalina (novellame di sardine), le alici marinate o “a scottadito” così come le mazzancolle e le gustosissime pannocchie, in dialetto stracciavocc’ “strappa labbra” per via delle chele acuminate, fatte bollite o al gratin. Per i primi il condimento classico è quello alla giuliese con scampi e vongole, spesso arricchito con sogliole, calamaretti e pannocchie. I secondi tipici sono i calamari ripieni cucinati in umido, le triglie, in dialetto “rusciùle“, preparate in umido con alloro e prosciutto, la frittura di paranza, l’arrosto, il “guazzetto” di pesce misto. Ma il piatto simbolo è il brodetto alla giuliese, una volta cibo povero dei pescatori che cucinavano il pesce del giorno rimasto invenduto. Per la preparazione si usano diversi tipi di pesce in base alla disponibilità del momento: seppie, triglie, sogliole, gallinella, scorfano, razza, rana pescatrice, pesce ragno, palombo, merluzzo, pannocchie, scampi, vongole e cozze Si versa in una grande casseruola dell’abbondante olio d’oliva, si fa un soffritto con aglio e peperoncino a cui si aggiungono pomodoro, peperone verde e seppie tagliate a listarelle; successivamente si sistemano i pesci a carne più coriacea, quindi quelli più teneri; si cuoce con acqua calda e vino bianco a fuoco non troppo lento. Il piatto va servito con prezzemolo tritato e crostoni di pane abbrustolito.
Ottimo, in abbinamento, il cerasuolo. Legati in genere alle feste e alle ricorrenze religiose, ma consumati in ogni occasione, i dolci teramani si distinguono per la loro tipicità e varietà. Famosi sono quelli natalizi: i pepatelli, biscotti secchi preparati con un impasto di miele, buccia d’arancia grattugiata, mandorle tritate e pepe macinato; i bocconotti e le sfogliatelle, fatti con un ripieno di marmellata d’uva ed altri ingredienti come mandorle tritate e cedro; i caggionetti, grossi ravioli di pasta sfoglia, ripieni di crema di castagne e ceci lessati, cioccolato, rhum, miele ed altri ingredienti ancora, fritti e conditi con zucchero e cannella. Caratteristici della festa di Sant’Antonio Abate sono “li cillitte d’ Sant’Antonie“, dolci a forma di uccelletti, riempiti di marmellata, mandorle, cioccolato, buccia d’arancia, caffè e cannella. Durante il Carnevale, oltre ai già citati ravioli fritti è tradizione consumare le neole e le frappe. Nel periodo di Quaresima si consumano i tarallucci, fatti con farina, zucchero e olio. Ci sono anche quelli con l’anice, ottimi con il vino. Tipiche della festa di San Giuseppe (19 marzo), sono le zeppole, ciambelline fatte con impasto di miele, farina, uova e vino cotto, fritte o al forno e riempite di crema pasticcera. È tradizione guarnirle con un’amarena candita. Classica del periodo pasquale è la pizza di Pasqua, tipica per la presenza dell’anice, il cedro, l’uva secca e la cannella. Dedicata ai più piccini è la cosiddetta pizza cola, realizzata con gli stessi ingredienti e l’aggiunta decorativa di un uovo sodo. Da gustare in ogni periodo dell’anno i pasticcini di mandorla, tipici della Val Vomano e della Val Fino dove l’arte pasticcera è una tradizione. A Bisenti si fanno i tatù, mostaccioli a base di miele, cacao, mandorle, cannella ed altri ingredienti. Vengono normalmente consumati a secco, ma sono eccelsi se conservati sotto spirito. Il dolce di Atri è il Pan Ducale. È un prodotto, la cui ricetta risale al 1300, fatto di uova, farina e mandorle e farcito con cioccolato fondente. Altro dolce tradizionale, presente in ogni festa è il croccante, preparato con le mandorle tostate, messe in una casseruola piena di un composto caldo di zucchero, miele e arancia grattugiata e fatte raffreddare. Il croccante può assumere diverse forme: la più classica è quella “a castello”. Tradizione dolciaria di Mosciano è il libretto di “cargini“, preparato con i fichi secchi e un composto di mandorle, cioccolato e canditi, il tutto pressato in un apposito stampo. Ed infine le torte tra cui la crostata di ricotta, la sfogliata di mele e la “pizza dolce”, il classico dolce delle feste realizzato con il pan di Spagna farcito da strati di crema, cioccolato e trito di mandorle e bagnato con rhum o altro liquore. Quella di Montorio prevede uno strato di marmellata d’uva con mandorle e cacao al posto della crema di cioccolato. È tradizione accompagnare dolci e merende con un bicchiere di vino cotto, un prodotto davvero originale ottenuto dalla riduzione fino al 30% del mosto che viene, appunto, fatto bollire e messo a maturare in botte. Ogni anno la botte viene ricolmata con il vino cotto dell’ultima annata, operazione che si sussegue anche per dieci, venti anni prima del consumo. Il risultato è un vino da fine pasto, di grande corpo e dal bouquet inconfondibile, in cui il gusto dolce non sovrasta mai il retrogusto amarognolo. La produzione è quasi esclusivamente domestica, ma non è raro trovarlo anche sui tavoli di qualche buon agriturismo. Le salsicce in conserva Le salsicce di maiale di carne e di fegato, oltre ad essere consumate alla brace, vengono anche usate per la lunga conservazione. È d’uso riporle, ancora fresche, sott’olio o sotto strutto. In genere vengono consumate spalmate sul pane fresco o sulla bruschetta. Ventricina teramana Si tratta di un prodotto che non ha nulla a che fare con la ventricina di Vasto, essendo, a differenza di quest’ultima, spalmabile. Per la preparazione vengono utilizzati ritagli di prosciutto, guanciale, pancetta e lardo, macinati finemente e mescolati ad aglio, rosmarino, sale e pepe, macinati ed insaccati nella vescica o, secondo la più antica tradizione, nel ventre del maiale da cui il nome “ventricina”. Particolare è la ventricina di Crognaleto, rossa perché preparata con l’aggiunta del peperone rosso dolce. la carne marchigiana La razza marchigiana “Vitellone bianco dell’Appennino Centrale” è il bovino più diffuso in provincia di Teramo con oltre 400 allevamenti censiti. È stata riconosciuta ultimamente come una IGP. La carne si presenta leggermente rosata e a grana fine ed è ottima nei suoi vari tagli. Le rigide regole per l’allevamento, la macellazione e una frollatura adeguata fanno sì che il vitellone abbia una carne succulenta, saporita e soprattutto tenera. Ottima in abbinamento con il Montepulciano. Tracciata con un‘etichetta obbligatoria la si può acquistare in macelleria. La giuncata Prodotto tipico primaverile è un formaggio fresco a base di latte crudo vaccino e a pasta morbida. È fatto con la “cagliata” che, una volta salata, viene posta nelle fiscelle di vimini e leggermente pressata. Viene consumato entro 2-3 giorni. Di colore bianco, ha un aroma di latte fresco, fragrante, legato alle essenze presenti nelle erbe. Il sapore è dolce e delicato. Il termine “giuncata” deriva dall’uso di recipienti (fiscelle) ottenuti da giunchi intrecciati. del formaggio fritto, si usa una pizza di cacio incerato, a pasta semimolle di soli 15-20 giorni, in genere di pecorino. La preparazione è semplice: si tagliano delle fette, si passano nella pastella e si friggono. Il risultato è eccezionale! Pecorino di Atri ottenuto da latte intero crudo di pecora con caglio di agnello, è un formaggio a pasta compatta, semicotta, di colore giallo paglierino con occhiatura minuta. Molto nota è la versione sott’olio che si ottiene mettendo le forme di 30-40 giorni a maturare dentro barattoli di vetro ricoperti con olio extravergine d’oliva. Il prodotto è maturo dopo 6-8 mesi e si presenta ancora tenero, dal sapore delicato e gradevolmente piccante. Pecorino di Farindola È un formaggio prodotto nella zona del versante orientale del Gran Sasso nel cuore del Parco Nazionale, tra la provincia di Pescara, dove si trova il paese di Farindola e quella di Teramo, nei comuni di Arsita e Castelli. La particolarità consiste nell’uso del caglio di suino, secondo una ricetta tramandata di donna in donna dall’epoca romana, che conferisce a questo pecorino, fatto con latte intero crudo, un aroma unico. La mungitura avviene a mano da pecore della razza Pagliarola Appenninica, allevate allo stato brado sui pascoli d’altura. Il quantitativo di latte prodotto è molto limitato: un litro al giorno per 120 giorni l’anno. Particolare è la fase di stagionatura (da 4 a 6 mesi) all’interno di vecchie madie di legno. Durante questo periodo la superficie del formaggio viene pazientemente unta a mano con una miscela di olio extra-vergine di oliva ed aceto, per evitare la formazione di muffe e screpolature. Il pecorino di Farindola è presidio Slow Food. Un Consorzio di tutela riunisce i produttori, garantendo il controllo del prodotto secondo un rigido disciplinare di produzione. Il cacio “marcetto” È un particolarissimo formaggio pecorino cremoso, di colore bianco, dall’odore forte e penetrante e dal sapore decisamente piccante. Deve le sue caratteristiche allo sviluppo, durante il periodo della stagionatura, di larve della mosca phiophila casei. La forma di pecorino non ancora ben stagionata può essere attaccata dal dittero che vi depone le uova. Tale fenomeno viene creato artificialmente immergendo la forma nel latte e tenendola all’aria aperta. Comincia così, con lo sviluppo delle larve, un processo di degradazione della pasta. A processo ultimato, la forma viene esposta all’aria o avvolta in teli bianchi per permettere l’allontanamento delle larve. Una volta era d’uso mangiare questo formaggio a secco, nonostante la presenza dei vermi. Oggi, per questioni igieniche e ai fini della commercializzazione il prodotto viene passato fino ad ottenerne una crema. Questa viene quindi riposta in recipienti di terracotta o vetro. Il cacio fritto Per la preparazione del formaggio fritto, si usa una pizza di cacio incerato, a pasta semimolle di soli 15-20 giorni, in genere di pecorino. La preparazione è semplice: si tagliano delle fette, si passano nella pastella e si friggono.
Il risultato è eccezionale! L’area di maggior produzione di castagne è sui Monti della Laga, nel comune di Valle Castellana. Qui i castagneti si sviluppano in grande abbondanza per la particolare acidità dei terreni a base arenacea. Il marrone è una castagna di pezzatura più grande rispetto ad altre varietà ed ha un sapore dolce ed intenso. Tale frutto ha rappresentato per anni la risorsa principale della dieta alimentare della Laga. La cura dei castagneti era una pratica molto diffusa fin dal XIII secolo. Ancora oggi viene utilizzato come prodotto base per diverse preparazioni, dalle zuppe ai dolci. Altre zone produttive nel Parco sono quelle di Intermesoli e Senarica dove cresce la varietà “nzita“. Il ta rtufo della Monta gna dei Fiori Il territorio provinciale, in particolare la zona di Campli, è dotato di una spiccata vocazione al tartufo, come del resto l’intero Abruzzo che, con i suoi 500 quintali di produzione annua, finisce spesso per alimentare i mercati di altre regioni. Il territorio, con poche colture, presenta molte tartufaie naturali. Qui si trovano il tartufo bianco, il bianchetto, il nero pregiato invernale ed estivo. Ma la maggiore produzione è quella dello “scorzone“, il tartufo nero estivo. Il porcino della Laga I Monti della Laga, per le caratteristiche del terreno, costituiscono un luogo ideale per la raccolta dei funghi. Famosi i boschi del Ceppo, di Cortino, Cesacastina e Valle Castellana. Se ne trovano diverse varietà: dal ricercatissimo porcino, ai gallucci (finferli) e ai cardarelli (chiodini) fino alle specie da prato: i prataioli, le mazze di tamburo e gli spinaroli. Ingredienti ottimi per la cucina, dai primi (boscaiola o ravioli ripieni), ai secondi (fritti, ripieni e arrostiti). La liquirizia di Atri La pianta della liquirizia è assai diffusa nelle terre del Cerrano ed in particolare ad Atri. La lavorazione è ancora quella tradizionale: l’estrazione del succo avviene tramite l’infusione delle radici in acqua calda. Oggi è attiva una florida produzione industriale i cui prodotti si trovano in ogni angolo della città ducale. L’olio extrav ergine di oliva Pretuziano delle Colline Teramane DOP Il termine pretuziano prende il nome dai Pretuzi, popolo italico che visse nel territorio teramano a partire dal III secolo a.C. La denominazione di origine protetta “Pretuziano delle Colline Teramane” è riservata all’olio extravergine di oliva ottenuto dalle olive appartenenti alle seguenti varietà: Leccino, Frantoio e Dritta congiuntamente fino al 75%; varietà locali minori, tra le quali sono maggiormente diffuse il Tortiglione, la Carboncella e la Castiglionese, per il restante 25%. Tutte le olive provengono dallo stesso oliveto certificato. La zona di produzione è nella fascia collinare che attraversa tutta la provincia, delimitata ad est dal mare Adriatico e ad ovest dal massiccio del Gran Sasso. Questi elementi naturali caratterizzano in modo particolare il clima determinando una forte escursione termica tra i diversi periodi dell’anno. A livello organolettico l’olio presenta un colore giallo-verdognolo, un odore fruttato e un sapore di media intensità, con lieve sensazione di amaro e piccante. Al consumo, la notevole presenza di note aromatiche fa prediligere l’uso di quest’olio su piatti di una certa consistenza, come grigliate di carne, insalate, verdure bollite, legumi e primi piatti.
I vini
Quella teramana è una produzione vitivinicola di assoluta qualità. Oltre al ben noto Montepulciano, conosciuto e premiato in tutto il mondo, sono presenti vini locali di grande carattere come il Trebbiano, la Passerina, il Pecorino e il Montonico. Discreta anche la coltivazione di vitigni internazionali come lo Chardonnay, il Cabernet e il Sauvignon. La qualità dei vini teramani è riconosciuta e garantita dalle presenza di ben cinque denominazioni: una DOCG, tre DOC e una IGT. Il Montepulciano d’Abruzzo Presente in coltura dal 1700, il Montepulciano è un vitigno a bacca rossa molto generoso, ben adattato alle dolci e assolate colline abruzzesi, tipicamente allevato a tendone, anche se recentemente offre ottime produzioni su spalliera. Il vino ha un colore rosso rubino intenso con lievi sfumature violacee, tendenti al granato con l’invecchiamento. Al naso ha un profumo intenso con sensazioni complesse che vanno dai frutti rossi come la marasca, alla frutta secca, alle spezie come il tabacco, fino all’etereo. In bocca si presenta asciutto, caldo, vellutato, con un bel tannino. Robusto e con una marcata persistenza è dotato di un’ottima evoluzione. Il Montepulciano giovane è particolarmente indicato per accompagnare primi piatti strutturati. Sottoposto ad invecchiamento si sposa bene con carni e formaggi stagionati. La tipologia cerasuolo presenta un colore rosato vivace, un odore fine e intenso, floreale e fruttato, con sentori evidenti di ciliegia, fragolina e violetta, e un sapore fresco, morbido, delicato con retrogusto gradevolmente mandorlato. Si abbina con primi piatti, carni bianche e formaggi giovani, ma si sposa perfettamente anche con il brodetto di pesce. Il Trebbiano d’Abruzzo Vitigno a bacca bianca appartenente alla grande famiglia dei Trebbiani, presente quasi solo in Abruzzo, nel 1994 è stato registrato nel catalogo nazionale delle varietà. Il vino si presenta con un colore giallo paglierino, un odore fine e complesso che varia dai fiori di ginestra e biancospino alla frutta esotica e agli agrumi, un sapore fresco, sapido e vellutato con un tipico finale ammandorlato. Si abbina perfettamente ai primi piatti in bianco e ai piatti di pesce. Il Pecorino Vitigno appartenente alla famiglia dei Trebbiani, è presente da lungo tempo nelle Marche e in Abruzzo. Quasi scomparso è stato riscoperto e rimesso in produzione solo negli ultimi anni. Il vino è di colore giallo paglierino, con intensi profumi di fiori di campo e agrumi maturi. Al gusto è fresco, caldo, intenso, con una buona persistenza. Facile da abbinare con piatti strutturati, formaggi freschi e stagionati e pesce. Il Montonico Vitigno autoctono, a bacca bianca, presente fin dall’epoca romana in provincia di Teramo, nelle zone di Bisenti e Poggio delle Rose. Il vino si presenta con un colore giallo più o meno carico, con profumi di fruttato e spezie non ben marcati, morbido e con una discreta acidità in bocca. Negli ultimi anni ne è stata sperimentata positivamente la spumantizzazione. Per la sua bassa gradazione è ottimo come aperitivo o per antipasti a base di pesce. La Passerina Vitigno a bacca bianca appartenente alla famiglia dei Trebbiani, autoctono delle regioni centrali dell’Italia. Viene coltivato in piccole quantità in Abruzzo dove è stato denominato “Trebbiano Campolese” . Il vino è di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, con odori di floreale e di frutta e con una buona struttura. Si abbina perfettamente ai primi piatti in bianco e al pesce in generale. le denominazioni La DOCG Montepulciano d’Abruzzo “Colline Teramane” Questa DOCG, istituita nel 2003, costituisce senza dubbio il prodotto di eccellenza dell’enologia teramana. I vini sono prodotti da uve provenienti da vigneti ubicati nei soli comuni della provincia di Teramo, su terreni ad un’altitudine non superiore ai 550 msl, con una resa massima di 90 quintali per ettaro ed impianti con un minimo di 3.500 ceppi per ettaro. Il vino è fatto con il Montepulciano per un minimo del 90% e con il Sangiovese fino ad un massimo del 10%. La vinificazione avviene nell’ambito della stessa zona di produzione. Prima di essere immesso sul mercato, il vino è sottoposto ad un periodo di invecchiamento di due anni di cui almeno uno in botti di rovere o di castagno e sei mesi di affinamento in bottiglia. Il vino, sottoposto ad un periodo di invecchiamento non inferiore a tre anni, può portare in etichetta la menzione “riserva”, fermi restando i periodi minimi di utilizzo del legno ed affinamento in bottiglia.
LA DOC CONTROGUERRA
La zona di produzione di tale DOC, istituita nel 1996, è nella Val Vibrata, nei comuni di Controguerra, Torano Nuovo, Ancarano, Corropoli e Colonnella, un territorio di infinita bellezza a due passi dal mare. Nell’ambito di questa DOC si producono numerosi vini sia con vitigni autoctoni come la Passerina, che internazionali come lo Chardonnay, il Cabernet, il Merlot. Varie le tecniche di vinificazione utilizzate. Delizioso il passito bianco fatto con trebbiano, malvasia e passerina o rosso con uve montepulciano. Una citazione a parte merita lo spumante sempre più convincente con il passare degli anni, ottenuto con il trebbiano o con un uvaggio che prevede anche lo chardonnay, il verdicchio ed il pecorino. LA doc Montepulciano d’Abruzzo La DOC di ambito regionale è riservata al vino, nelle tipologie rosso e cerasuolo, ottenuto dalle uve provenienti da vigneti di “Montepulciano”. Possono concorrere uve di altri vitigni a bacca rossa non aromatici per un massimo del 15%. I vigneti, ubicati in terreni ad altitudine di 500 metri slm devono avere una resa massima non superiore a 140 quintali per ettaro. Il vino può fregiarsi della menzione “riserva” qualora sia stato sottoposto ad un periodo di invecchiamento non inferiore ad almeno due anni, di cui nove mesi in botti di legno. Qualora le uve vengano vinificate in presenza della buccia solo per un limitato periodo di fermentazione, è concesso al vino ottenuto, in considerazione del suo colore, rosso ciliegia, l’uso in etichetta della specificazione “Cerasuolo”. Il nome deriva dal termine dialettale “cerasa” che indica la ciliegia. la doc Trebbiano d’Abruzzo La DOC di ambito regionale è riservata al vino bianco ottenuto dalle uve provenienti da vigneti di Trebbiano d’Abruzzo e/o Toscano. Possono concorrere le uve di altri vitigni a bacca bianca non aromatici per un massimo del 15%. I vigneti, ubicati in terreni ad altitudine di 500 metri slm devono avere una resa massima non superiore a 140 quintali per ettaro. L’ IGT “Colli Aprutini” L’IGT è riservata ai vini bianchi, rossi e rosati ottenuti da uve provenienti, nell’ambito aziendale, da uno o più vitigni autorizzati per la provincia di Teramo. Il vino riporta l’indicazione del vitigno quando le uve dello stesso concorrono alla sua produzione per almeno l’85%. Tra i bianchi le produzioni più comuni sono quelle di Chardonnay, Passerina, Malvasia, Montonico e Pecorino. Tra i rossi: il Pinot nero, il Cabernet, il Merlot e il Montepulciano tagliato con altre uve.
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