La conoscenza e l’apprezzamento del tartufo in Abruzzo affonda le sue radici all’inizio dell’800. Luigi Marra nel libro Del Tartufo riporta gli scritti di Ignazio Niccolò Vicentini il quale, nella Memoria sulla coltura de’ tartufi, recitata nell’adunanza della Società Economica de l’Aquila del dì 19 del mese di Aprile dell’anno 1828 (Tip. Grossi, Aquila 1833), così scrive riferendosi all’uso del tartufo: “L’aroma de’ Tartufi, e forse l’astringente sostanza che contengono, basta per conservare la carne; mentre si osserva che i polli ripieni di Tartufi non si guastano così prestamente. Il liquore coi Tartufi si fa, impregnando l’acqua dell’aroma, che dà medesimi esala, fatti in pezzi: ma conviene prepararla a freddo: perché il menomo calore ne deteriora la qualità e la delicatezza. I Tartufi freschi par che contengano un acido: pestati e messi nel latte bollente lo coagula, e ne viene un cacio chiamato Formaggio al Tartufo di un odore particolare e di un cibo gradevole.
Si apparecchiano i Tartufi in diversa maniera, sia cotti nell’acqua o sotto le ceneri, sia crudi in insalata fettati, e conditi coll’olio, aglio ed acciughe o alici. Finalmente si usano secchi, dopo conservati nel modo che si andrà a dire”. Paolo Urbani, Amministratore Delegato della ditta Urbani s.n.c., un importante gruppo agroindustriale nel mondo per la coltivazione, ricerca, raccolta, lavorazione, e commercializzazione di tartufi e prodotti con aroma di tartufo, nell’ambito del Convegno Internazionale sul Tartufo (L’Aquila, 5-8-marzo 1992) sosteneva: “Egli (Carlo Urbani) fu presente in Abruzzo ed in particolare nella provincia di L’Aquila sin dagli anni Trenta, venendo a contatto con molte centinaia di cavatori, presso i quali la stima, la fiducia, la riconoscenza di cui godeva, andavano ben al di là del semplice rapporto di scambio”. Gli esempi citati dimostrano la conoscenza del tubero sin da tempi remoti e, con essa, forme diverse di utilizzazione e trasformazione. In anni più recenti gran parte della produzione abruzzese è stata acquisita da industrie di trasformazione extraregionali e commercializzata in tutto il mondo con marichi diversi.
In cucina
Pasta alla chitarra con tartufo e zafferano
Questa ricetta, golosissima, mette sotto ai riflettori due prodotti tipici abruzzesi ben conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. La classica pasta alla chitarra, infatti, viene arricchita con un condimento aromatico e prezioso a base di tartufo e zafferano.
Ingredienti
1 gr di Zafferano di Navelli in polvere
1 gr di Zafferano di Navelli in stimmi
tartufo nero
brodo vegetale
burro
olio evo
sale
Esecuzione
Preparare il brodo vegetale.
Distribuire la farina sul tavolo di lavoro e disporla a fontana.
Rompere le uova e metterle al centro.
Iniziare a lavorare uova e farina con una forchetta e poi impastare con le mani.
Quando si sarà ottenuto un panetto omogeneo e liscio, avvolgerlo nella pellicola trasparente.
Lasciare il panetto a riposare per almeno mezz’ora nel frigorifero.
Trascorso questo periodo di tempo, prendere il panetto e tagliarlo in pezzi.
Stendere ogni pezzo con il matterello per ottenere delle forme rettangolari dello spessore di 2 o più millimetri (secondo il gusto personale).
Mettere ogni rettangolo di pasta sulle corde della chitarra e iniziare a lavorarlo facendo pressione con il matterello per ricavare i classici maccheroni.
Disporre la pasta sopra un vassoio, distribuirvi un poco di farina, coprire con un canovaccio e lasciare riposare.
Mettere una pentola con acqua sul fornello.
Quando l’acqua sarà arrivata al bollore, salare e buttare la pasta.
In una padella capiente mettere del burro, del brodo vegetale e lo zafferano in polvere.
Aggiungere la pasta dopo averla scolata al dente e, con fiamma bassa, farla amalgamare con il condimento.
Distribuire la pasta condita nei piatti, versare un filo di olio evo, aggiungere le scaglie di tartufo nero e gli stimmi di zafferano. Servire in tavola.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.