Il ghiacciaio del Calderone (lat. N 42028′ 15″; long. E da Roma l’ 06′ 54″; 23 TUH 823033), che attualmente è il più meridionale d’Europa, ritenendosi ormai completamente scomparso il ghiacciaio di Picato de Veleta nella Sierra Nevada in Spagna, occupa il fondo ed il pendio settentrionale di un circo allungato posto sotto il massiccio del Corno Grande del Gran Sasso. Il ghiacciaio che dal punto di vista classificativo viene definito di tipo pirenaico, era caratterizzato nel 1960 da crepacci marginali e terminali, marcata zonatura superficiale, ghiaccio compatto verso la fronte, notevole sviluppo delle morene frontali e laterali, massi formanti tavole e coni detritici. In base ai rilievi effettuati negli anni 1958-60 la quota della cima più alta sovrastante il ghiacciaio (Vetta Occidentale del Corno Grande) risulta di 2912 m s.m. quota del punto più alto del ghiacciaio 2867 m s.m. e quella del punto più basso 2676 m s.m. con una differenza di quota quindi di 191 m.
La lunghezza massima in proiezione orizzontale era di 390 m, la larghezza massima (trasversalmente al pendio) di 230 m, l’inclinazione della supefficie di 260 con massimi intorno ai 500 nella patte alta. L’area era di 6,0 ha, l’esposizione NNE. L’alimentazione è prevalentemente diretta, ma con notevoli apporti di neve trasportata dal vento o precipitata in forma di valanga dalle pendici rocciose che circondano il ghiacciaio e poi lo proteggono con la propria ombra. Il limite effettivo delle nevi persistenti era in corrispondenza del ghiacciaio, sui 2750-2800 m, valore corrispondente all’incirca all’altitudine media del ghiacciaio stesso. Le caratteristiche esteriori del ghiacciaio variano non soltanto da un anno all’altro e da stagione a stagione ma anche da periodo a periodo della stessa stagione soprattutto per la grande mutabilità della coltre nevosa, che con alterna potenza ricopre più o meno la massa glaciale. A partire dal 1929 il ghiacciaio ha costituito l’oggetto di sopralluoghi sistematici i cui risultati sono stati pubblicati anno per anno sul Bollettino del Comitato Glacialogico Italiano.
CENNI STORICI
Le prime notizie circa l’esistenza di un ghiacciaio sul Gran Sasso risalgono al 1573 al primo salitore della cima del Corno Grande Francesco De Marchi il quale nella descrizione dell’ascensione parla di un “vallone lungo un miglio e largo mezzo dove sta neve perpetua”. D’allora quanti ebbero modo di ascendere, a scopo di studio, le vette del Como Grande hanno in genere osservato il fenomeno lasciandone però descrizioni molto sommarie ed imprecise, che però costituiscono una conferma della persistenza e della estensione dell’attuale fenomeno glaciale. A partire dall 1960 ca. abbiamo però delle fonti sicure di eventuali variazioni del ghiacciaio nelle fotografie, alcune delle quali si possono rinvenire nell’archivio storico del CAI. Una di queste è particolarmente interessante, perché ci mostra il ghiacciaio pochi anni dopo la sua max espansione avvenuta nella seconda metà del XIX secolo.
AMBIENTE CLIMATICO
Il prevalente orientamento del Gran Sasso da O ad E tende a determinare un accentuato contrasto tra le condizioni climatiche dei due versanti settentrionali e meridionale, contrasto che sul versante settentrionale è influenzato dall’azione del Mare Adriatico che mitiga le basse temperature dovute ai venti freddi provenienti dai quadranti orientali e nordorientali ed incrementa invece l’umidità atrnosferica e quindi le precipitazioni. Per quanto riguarda queste ultime, il ghiacciaio risulta compreso nell’isoieta media annua di 1600 mm, mentre per quello che riguarda le temperature, rientra nell’isoterma media annua di 30 C, riferentesi però alla quota di 2500 m. L’escursione termica media annua (differenza tra il mese più caldo e quello più freddo) è di 16 °C per Campo Imperatore situato sul versante meridionale a 2130 m e più o meno la stessa cifra per Pietracamela posta su di una balconata sul versante settentrionale a 1000 m. Decisa appare quindi l’influenza esercitata dal mare sul versante settentrionale del massiccio montuoso, ed il carattere più continentale degli altopiani del versante meridionale. Un ultimo accenno al limite climatico delle nevi persistenti del massiccio, il quale si può collocare attualmente intorno alla quota 2900-2950
VARIAZIONI STORICHE DAL 1860 AL 1998
Il ghiacciaio del Calderone al contrario di quanto si pensa usualmente ha un’età relativamente recente, la nascita infatti si può far risalire alla fine del XV secolo cioè agli albori di quel periodo climatico caratterizzato da temperature estive piuttosto miti e precipitazioni abbondanti ben distribuite nell’arco dell’anno, che in seguito fu denominato Piccola era glaciale (Little ace age). L’acme di questa onda climatica si ebbe nel XIX secolo quando tutti i ghiacciai del globo, fra i quali anche il nostro Calderone, raggiunsero il loro max sviluppo storico. Allora il ghiacciaio estremamente gonfio e crepacciato, giungeva a lambire i terrazzi posti sotto la Vetta Centrale (2893 mt) e con una lingua si affacciava sulla Forchetta del Calderone. Per ricostruime l’aspetto, basta osservare la differenza di tonalità che c’è fra la roccia che non è mai stata coperia dal ghiacciaio, scura, perché già notevolmente alterata ed intaccata dagli agenti atmosferici, e quella venuta alla luce dopo il regresso del ghiacciaio e naturalmente più chiara. La differenza che intercorre fra uno strato e l’altro rappresenta la diminuzione di massa che ha subito il ghiacciaio nell’arco di un secolo. Tale regresso ha raggiunto i suoi massimi valori sotto la Vetta Centrale con una diminuzione max in 74 anni di 60-80 m, altrove lo smagrimento seppure notevole ha operato per valori che vanno dai 30 metri sotto la Vetta Occidentale ai 50 del lato sinistro (orografico). Il regresso frontale al contrario non ha influito in maniera così marcata, tanto che nello stesso arco di anni il ghiacciaio si è ritirato di soli 50 m. Tuttavia questi dati se messi a confronto con quelli provenienti dai ghiacciai della catena alpina vanno notevolmente ridimensionati, ad esempio basti pensare a tutti quei ghiacciai alpini di cui oggi non timane traccio, se non un imponente arco morenico frontale, e che solo 60 anni fa avevano superfici dell’ordine di 30-40 ha ben superiori ai modesti 6 ha del Calderone. Come mai quindi il nostro ghiacciaio ha potuto conservarsi a dispetto di tutti quelli che sono scomparsi, alcuni anche ben più superiori di esso? Innanzi tutto la particolare configurazione orografica del massiccio su cui è situato, con forme concave accentuate; il microclima presente nell’area circostante; ma soprattutto le creste che lo proteggono con la loro ombra, e che un secolo fa erano appena emergenti dalla superficie glaciale.
Le variazioni del Ghiacciaio del Calderone vengono rilevate annualmente in base ai segnali posti nel 1934 dall’Ing. Dino Tonini, invero questi segnali, non sono sufficienti a caratterizzame le variazioni annuali, perché nel caso del nostro ghiacciaio manca una vera fronte e la sua particolare morfologia, unitamente alla morena frontale che ne ostacola i movimenti di espansione. così pure la presenza talvolta di ammassi nevosi accumulati dall’azione colica che coprono i segnali di misurazione, tolgono valore alle osservazioni metriche relative alle distanze tra i segnali di contorno e l’apparente massa glaciale. Per questo la documentazione fotografica risulta, insieme alla misura delle variazioni di spessore, essere la migliore forma di controllo attualmente possibile. Un indice interessante dell’andamento della massa glaciale è dato tra l’altro dalla presenza o meno del Laghetto Sofia, che si manifesta quando per l’eccezionale apporto di acqua derivata dalla fusione del manto nevoso, l’inghiottitoio si occlude, dando luogo al laghetto sopracitato. Notizie del tutto attendibili si hanno anche da rilievi eseguiti nel 1934 e nel 1960. Confrontandoli risulta che la morfologia èrimasta pressocché immutata, salvo una diminuzione di circa 20 metri nella lunghezza e nella larghezza massima, mentre al confronto dello spessore risulta che il ghiacciaio in questo periodo di tempo ha subito una riduzione in spessore di 15 m in corrispondenza dell’inghiottitoio, 20 m nella porzione di ghiacciaio compresa fra le quote 2750-2800 m mentre nel bacino di allazione (alimentazione) il regresso è stato nullo. Complessivamente la massa glaciale è diminuita in quei 36 anni 420000m3, in media di circa 160000/m3 all’anno! Ben diversa è la situazione che intercorre fra il 1960 ed oggi, infatti nel biennio successivo si concluse una fase di espansione del ghiacciaio e se ne aprì una di intenso regresso che sotto certi aspetti è continuata inintenotta fino al 1984 anno dell’ultimo rilevamento, una piccola espansione comunque si è verificata nel triennio 1978-80. Confrontando alcune fotografie eseguite dal Landi Vittori nel 1967 con quella eseguita nel 1983, risultano evidenti al cune modificazioni: innanzi tutto appare evidente una netta contrazione del margine frontale valutabile intorno ai 40-50 m, poi una ulteriore riduzione di spessore accompagnata da un restringimento del bacino ablatore, ed infine, quello che è più significativo, una notevole riduzione nel bacino di alimentazione (che assicura la vita al ghiacciaio), accompagnato da una ancor più notevole diminuzione di superficie, tanto che il bacino stesso va sempre più ingombrandosi di detriti precipitati dalle creste sovrastanti. Il bilancio del ghiacciaio, quindi, anche senza un attento esame, risulta essere decisamente deficitario ed il ghiacciaio in forte e persistente regresso tanto da fame mettere in dubbio la soprawivenza per molto tempo ancora. Questo è dovuto principalmente alle condizioni climatiche attuali caratterizzate da forti escursioni termiche annuali (invemi rigidi estati calde), precipitazioni scarse e mal distribuite (sovente son concentrate in violenti nevicate o acquazzoni per lo più di breve durata), venti impetuosi che oltre ad accumulare la neve in zone adatte alla conservazione, possono anche strapparla dagli alti bacini e concentrarla in zone inutili ai fini dell’alimentazione glaciale. Da tutto ciò risulta chiaro che ci troviamo di fronte al fenomeno dell’estinzione di un ghiacciaio che per la sua posizione geografica rappresenta un esempio unico nel suo genere.
Dopo il 1984 il Calderone entra in una fase di accentuato regresso, che lo ha portato alla quasi totale estinzione nel 1996. Attualmente rimangono solamente poche lenti di ghiaccio fossile nella parte più depressa del circo glaciale e lungo il canale centrale-superiore che è rimasto allo scoperto. Migliaia di metri cubi di detriti, tuttavia, nascondono queste masse glaciali, permettendone la conservazione per ancora molti anni. Pertanto, oggigiorno, il Calderone ha assunto l’aspetto di ghiacciaio “nero”, ovvero l’aspetto tipico dei ghiacciai prossimi all’estinzione.
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