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Il complesso benedettino di Bominaco

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Lontano dalle rotte turistiche più battute, il complesso benedettino di Bominaco (frazione di Caporciano, 30 km a sud de L’Aquila) è uno dei siti monastici più interessanti ma anche meno conosciuti dell’Abruzzo medievale; un luogo in cui si può ancora respirare un’atmosfera spirituale autentica e dove – fatto ancor piú raro – la gestione attenta del patrimonio ne ha permesso la conservazione in un contesto urbano e paesaggistico rispettoso dell’eredità tramandataci. Sebbene la documentazione bominaco-2d’archivio sia andata dispersa, la fondazione del complesso monastico viene fatta risalire al X secolo, sulla base di quanto narra il perduto Registrum actorum et scripturarum S. Mariae de Bominaco, citato da Anton Ludovico Antinori nelle Antiquitate Italicae Meii Aevi di Ludovico Antonio Muratori. Ma sono il Chronicon farfense e il Regesto di Farfa a fornirci ulteriori notizie sul legame del complesso con l’abbazia laziale, un legame peraltro testimoniato anche in vari atti imperiali, che lo citano appunto come proprietà farfense. Da un atto del 1093 si apprende che il normanno Hugues de Gerbert aveva donato l’abbazia al capitolo di S. Pelino a Corfinio, appartenente alla diocesi di Valva: un episodio che si inserisce nel processo di scambi a seguito della conquista normanna. E la storia del monastero benedettino si dipana proprio nel segno del difficile rapporto, sempre oscillante tra la dialettica e lo scontro vero e proprio, fra i monaci di Bominaco, che rivendicavano la propria autonomia, e il vescovo di Valva. Tensioni che si inasprirono soprattutto a partire dal 1153, dopo che papa Atanasio IV aveva sancito la pertinenza vescovile del complesso abruzzese, confermata in una bolla da Adriano IV nel 1156. Ulteriori tensioni si ebbero nel 1166 quando papa Alessandro III ribadí ancora una volta che l’elezione dell’abate era subordinata all’approvazione del vescovo di Valva: un atto che, invece di indurli all’accettazione, spinse i monaci a reagire con ancor piú coraggio.

Una conflittualità perenne

Tra l’ultimo ventennio del XII secolo e il primo decennio del successivo i papi Lucio III, Clemente III e Innocenzo III confermarono la pertinenza vescovile sul monastero bominacense nonostante l’opposizione dei monaci, che soprattutto nella figura dell’abate Todino (anni Sessanta del XIII secolo) ebbero uno strenuo difensore, oltre che il promotore della ricostruzione dell’oratorio di S. Pellegrino. Nonostante il periodo di grande floridezza vissuto tra il XII e il XIII secolo, l’eterna contesa tra i religiosi bominacensi e il potere vescovile non si affievolí: nel 1330 Roberto d’Angiò riconobbe ancora una volta al vescovo di Valva la giurisdizione sull’abbazia bominacense. In seguito al saccheggio subito dall’abbazia nel 1423 da parte del capitano di ventura Fortebraccio da Montone negli scontri tra Aragonesi e L’Aquila, e del successivo affidamento in commenda della stessa a cardinali, inizia un lungo periodo di decadenza nella storia del complesso monastico, chiuso definitivamente nel 1792 da Benedetto XIV e assegnato alla diocesi de L’Aquila.

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Un gioiello dell’architettura romanica

Frutto dei lavori di ampliamento di un precedente complesso monastico del X secolo, la chiesa abbaziale oggi visibile, intitolata a S. Maria Assunta e databile tra il XII e XIII secolo, dalle forme rigorose ed eleganti, è un magnifico esempio di architettura romanica: a pianta basilicale a tre navate, si distingue per alcuni elementi della decorazione esterna e interna, certamente attribuibili a esperti lapicidi. Peculiare è la facciata, che si distingue per il doppio spiovente della navata centrale a cui si oppongono i coronamenti orizzontali delle coperture delle due navate laterali, con una soluzione che piú tardi si diffuse nell’architettura sacra locale. Il tipico portale benedettino, arricchito con architrave e archivolto ornati da motivi ricorrenti anche in altre chiese abruzzesi, è sovrastato da un lucernario circondato da quattro leoni su mensole che evocano, invece, modelli pugliesi. Il lato posteriore esterno, con le tre absidi che ripetono la suddivisione interna, ci riporta a reminiscenze lombarde per la presenza di eleganti arcatelle cieche a coronamento delle pareti absidali. Ad arricchire queste ultime concorrono le decorazioni delle monofore dell’abside centrale e di quella di destra, sormontate da iscrizioni inneggianti alla Madonna e circondate da fasce con elementi vegetali e animali; decorazioni simili si ritrovano nel fianco sinistro della chiesa, dove, attorno ad alcune monofore, tornano, ma con soluzioni piú fantasiose, analoghi elementi ornamentali.

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Lo stile corinzio rivisitato

L’interno presenta la classica tripartizione a tre navate, con sei colonne di spoglio per lato, un elemento, questo, che la differenzia da altre chiese coeve d’Abruzzo, nelle quali predomina la presenza dei pilastri. Si è subito colpiti dalla fattura dei capitelli d’influenza nordica, finemente lavorati, in maniera diversa l’uno dall’altro, a motivi vegetali che reinterpretano lo stile corinzio. Ma è soprattutto l’ambone del 1180 a catturare l’attenzione; commissionato dall’abate Giovanni, si presenta con un lettorino semicilindrico su quattro colonne con straordinari capitelli corinzi e fregi sul parapetto che raffigurano tralci frammisti ad animali e figure umane. Un’altra testimonianza significativa dell’arte lapidea bominacense è l’elegante ciborio del 1223 che sovrasta l’altare, affiancato dal coevo candelabro pasquale su colonna tortile, posto su un leone stiloforo e terminante con un capitello che è un vero tripudio di creatività. Dietro l’altare vi è poi la cattedra abbaziale anch’essa finemente decorata e voluta nel 1184 dall’abate Giovanni, ritratto sul lato destro insieme a una iscrizione che reca la datazione dell’opera. Terminata la visita della chiesa e ripercorrendo a ritroso il percorso, si costeggia poco piú in basso un altro monumento eccezionale, unico superstite, oltre a S. Maria Assunta, del complesso monastico originale: il piccolo oratorio di S. Pellegrino. Opera di artisti anonimi che al suo interno hanno lasciato una testimonianza considerevole della loro produzione pittorica, è un edificio quasi anonimo, realizzato in semplice muratura ad aula unica. L’accesso originario, affiancato da un rosone, si trovava nel lato posteriore; risale invece al XVIII secolo il portico su colonne che caratterizza l’ingresso attuale. L’aspetto dimesso degli esterni crea un contrasto sorprendente con l’interno. L’aula fu fatta ricostruire dall’abate Teodino nel 1263 – periodo di maggior splendore per il complesso di Bominaco – su un precedente edificio voluto da un non meglio specificato re Carlo, come recita l’iscrizione su uno dei plutei interni (h. domus a rege carulo fuit edificata ad q.p. abate teodinu stat renovata (…) anni doni tuc mille cc et edxaginta tres leto di cito gent). Gli storici hanno proposto di identificarlo con Carlo Magno, che – come ci testimonia il Chronicon volturnense – in questi luoghi soggiornò e, secondo la leggenda, avrebbe visto in sogno un santo pellegrino. Le spoglie di quest’ultimo sarebbero conservate sotto l’altare, come si legge in un’altra iscrizione presente sullo stesso: credite quod hic est corpus beati pellegrini. È questa l’origine delle rivendicazioni della mitica fondazione carolingia del sacello, ricordata dai monaci – anche nei cicli pittorici dell’oratorio – a difesa della loro indipendenza contro le pretese vescovili. Come nelle prime chiese cristiane, l’aula è divisa in due settori dai due plutei che separano la zona riservata ai battezzati da quella dei celebranti. Su di essi sono raffigurati un grifone e un drago alato, probabilmente un simurg, un essere mostruoso della mitologia persiana, diffuso anche nell’iconografia occidentale. Sulla volta e sulle pareti si possono ammirare ben 470 mq di affreschi, che si dispongono in una serie di cicli nelle quattro campate, suddivise da quattro ampi archi ogivali – d’influenza cistercense – alternati a figure isolate di santi, che si concentrano in particolar modo nella zona presbiteriale. Quattro sono anche i cicli individuabili e la loro disposizione – piuttosto insolita rispetto alla classica sequenza di lettura dalla parete di sinistra a quella di destra – ha dato adito a numerose ipotesi interpretative dell’originale, e a tratti ambiguo, percorso narrativo. Apre l’itinerario pittorico nella parete di sinistra, avendo alle spalle l’entrata, il ciclo dell’Infanzia di Cristo, nel registro superiore della prima arcata, d’impronta bizantineggiante, con l’Annunciazione e la Visitazione di Maria. Il registro intermedio propone, invece, il ciclo della Passione, con l’Ultima cena, in cui è assente Giuda; quest’ultimo è però il protagonista del terzo registro sottostante con l’articolata scena del tradimento. Nel quarto registro, il piú basso, vengono narrate alcune scene infernali: composizioni normalmente ritratte nei registri inferiori delle pareti affrescate, e sicuramente capaci, data la loro prossimità al fedele, di incutere una certa impressione.

Una presenza insolita: il paesaggio

Passando alla seconda campata, nel registro superiore prosegue il ciclo dell’Infanzia, con la Natività, e, soprattutto, con un bellissimo Annuncio ai Pastori, caratterizzato dall’insolita presenza di dettagli paesaggistici. Al di sotto del ciclo dell’Infanzia, sei vignette narrano episodi della vita di san Pellegrino, alcune di difficile interpretazione, altre di chiara lettura, con il santo davanti alle autorità imperiali, la sua flagellazione, e mentre predica il Vangelo. Nel terzo registro è raffigurato Cristo in trono, circondato da quattro Apostoli. Nell’ultimo registro, invece, contro un panneggio decorativo, è presente un medaglione raffigurante una lotta, da intendersi come un simbolico scontro tra il bene e il male.

Con la terza campata – oltrepassati i plutei – siamo in piena area presbiteriale, e con essa mutano anche le tematiche raffigurate. La divisione spaziale determinata dai plutei corrisponde a una differenziazione dei soggetti: se nelle pareti che li precedono predomina la narrazione sacra, al di là di essi, nella zona dell’altare, s’impongono la corte celeste dei santi e le sacre scritture. Nel registro superiore della campata ecco dunque figurare i profeti del Messia: Mosè, Giona, Isaia e Giobbe. Nel registro sottostante è rappresentato il primo semestre del calendario liturgico bominacense, mentre il secondo è rappresentato nella parete opposta. Il calendario in prossimità dell’altare, oltre a costituire una presenza pittorica piuttosto rara, trova la sua ragion d’essere in qualità di regolatore del tempo liturgico. Nel registro sottostante il primo semestre, viene narrato l’incontro di Cristo a Emmaus, con il Salvatore nei panni di un pellegrino a ricordare il santo dedicatario dell’oratorio; accanto compare san Martino che cede il suo mantello a un povero pellegrino. Il muro di fondo e la quarta campata (parete di destra dando le spalle all’entrata), sono principalmente dedicati alla raffigurazione di santi, molti dei quali ritratti all’interno di medaglioni e spesso di dubbia identificazione anche per il cattivo stato di conservazione. La quarta campata (lato destro dando le spalle all’entrata), molto deteriorata, ospita la rappresentazione di una tavola con tre personaggi purtroppo non identificabili. In quella successiva tornano, specularmente, nel registro superiore alcuni patriarchi e profeti, mentre quello inferiore è dedicato al secondo semestre del calendario liturgico; sono invece quasi del tutto illeggibili gli affreschi nel registro inferiore. Con la seconda campata riappare il ciclo dell’Infanzia, già incontrato nel registro superiore della parete di fronte: qui sono raffigurati la Presentazione al Tempio e l’arrivo dei Magi

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Il sogno di Carlo Magno

I due registri inferiori sono piuttosto mal conservati; uno di essi rappresenta forse la continuazione del ciclo di san Pellegrino (iniziato nella parete opposta). Nella quarta e ultima campata prosegue il ciclo dell’Infanzia, con la scena dell’Epifania ed Erode che ordina la Strage degli Innocenti. Nel registro sottostante è invece rappresentato il sogno di Carlo Magno, a rimarcare le già ricordate origini regali dell’oratorio: la rivendicazione «carolingia» sulla fondazione dell’abbazia – rappresentata indirettamente in queste scene – potrebbe essere interpretata come atto simbolico/politico contro le ingerenze del vescovo da sempre interessato al controllo dell’abbazia. Nei due registri sottostanti torna il ciclo della Passione con le sue scene piú drammatiche: la Flagellazione, la Deposizione e la Sepoltura di Cristo. Il registro piú basso rappresenta il Paradiso, con san Pietro che ne spalanca le porte. A completamento dell’articolato percorso narrativo, la controfacciata, al cui apice è rappresentato l’agnello pasquale, colpisce soprattutto per la gigantesca figura di san Cristoforo, ritratto sul lato sinistro del portale. Appare evidente la funzione apotropaica del santo, che sostiene da un lato il Bambino Gesú, mentre alla sua sinistra è raffigurato san Francesco, la cui presenza in «suolo» benedettino è sintomatica dell’enorme popolarità e diffusione che il santo iniziava ad avere nella cultura religiosa del tempo. Sono poi raffigurati Zaccaria e Isaia, mentre, sul lato sinistro del portale d’accesso, il registro superiore propone la Strage degli Innocenti; quello intermedio l’entrata trionfale a Gerusalemme e, in basso, la Lavanda dei Piedi, simbolo dell’atto purificatorio per l’accesso alla casa del Signore. Giunti a conclusione di questo inusuale percorso pittorico, resta impresso il fascino della grande ricchezza cromatica dei cicli affrescati la cui singolare disposizione, i rimandi tra una scena e l’altra, in una successione apparentemente illogica, rispecchia, come ribadisce lo storico Jérôme Baschet, collegamenti simbolici e funzionali rispetto allo spazio architettonico. Un monumento che insieme alle eleganti architetture della chiesa abbaziale di S. Maria Assunta, con i suoi capolavori d’arte lapidea, ha saputo difendere con fierezza il suo splendore, e che il terribile sisma del 2009 non è riuscito a scalfire.

Credits: Opera di Franco Bruni – http://www.brunifranco.it

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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