Per anni anche l’Abruzzo ha puntato con convinzione sull’agricoltura di qualità e a filiera corta sul legame col territorio, sul “locale è bello”. La devastante crisi innescata dall’invasione dell’Ucraina da parte del dittatore russo Vladimir Putin, assieme al drammatico aumento di materie prime e del costo dell’energia, rende oggi invece evidente quanto anche il comparto agricolo regionale sia dipendente e legato a doppio filo con il mercato globale, dalle sue fluttuazioni e incertezze.
A confermarlo ad Abruzzoweb è Stefano Fabrizi direttore di Confagricoltura L’Aquila e condirettore regionale assieme a Camillo Colangelo. Anche per lui sono giorni con l’elmetto, a migliaia di chilometri da Kiev e dall’Ucraina, sul fronte della drammatica situazione in cui si sta avvitando l’agricoltura regionale. Con il telefono bollente, il viavai di agricoltori disperati nel suo ufficio, alcuni di loro quasi prossimi a gettare la spugna, a causa dei costi insostenibili che stanno raggiungendo il gasolio e elettricità, fondamentali per far muovere i trattori in tempi di aratura dei campi, per scaldare e illuminare le serre, i capannoni e le stalle. Per non parlare del costo dei mangimi e delle piantine di ortaggi, di altre materie prime fondamentali per l’attività agricola.
“La guerra sta devastando un paese, l’Ucraina, che è grande esportatore di materie prime agricole, le sanzioni internazionali recideranno i rapporti commerciali con la Russia, che è un grande paese importatore, anche per l’Abruzzo, e questo conferma quanto oramai l’economia sia globalizzata e interconnessa”, spiega Fabrizi.
Per quanto riguarda le esportazioni il condirettore di Confagricoltura non ha dubbi: “la mazzata durissima la subiranno nella nostra regione soprattutto gli esportatori di vino in Russia. Non dimentichiamo che l’Abruzzo è la quinta regione in Italia per vino prodotto e in particolare la provincia di Chieti. È già con la crisi della Crimea del 2014 e con le conseguenti sanzioni il contraccolpo era stato molto pesante”.
La situazione è meno grave di quello che possa sembrare invece per il grano, di cui importantissima produttrice è proprio l’Ucraina.
“L’Abruzzo come noto è un importante produttore di pasta – spiega Fabrizi -, con imprese consolidate e oramai di livello nazionale e internazionale. Il grano prodotto in loco ovviamente non può bastarci, ma quello che ci occorre arriva principalmente dal Canada. Il problema riguarderà altre regioni italiane, che invece importano dall’Ucraina e se si bloccherà in particolare il porto di Odessa, il problema diventerà mondiale, visto che non potrà essere compensato in tempi stretti da quello dell’Egitto e della Turchia. E comunque va messo in conto un aumento dei prezzi, anche del grano che non arriva dall’Ucraina”.
C’è poi il problema del caro energia, esploso già prima della guerra ucraina, che non riguarda sottolinea Fabrizi, “solo il gasolio per fare il pieno ai trattori e altri mezzi agricoli il cui costo è più che raddoppiato, nonostante sia per il comparto agricolo a prezzo agevolato. Il caro energia fa salire tutti i costi di produzione: quello dei mangimi è aumentato già del 30% e questo rappresenta un problema enorme per gli allevamenti. Per scaldare le serre gli agricoltori si vedono recapitare bollette anche triplicate”.
Il caro serra ha poi un’altra inquietante conseguenza: “prendiamo il Fucino, che uno dei territori agricoli più importanti del centro Italia, per quanto riguarda gli ortaggi, come carote, insalata, finocchi così via. Va considerato che generalmente non si mettono a dimora i semi, ma si acquistano le piantine, nell’ordine delle decine di migliaia per ettaro. Questo avverrà tra un mese e mezzo due. E il prezzo non viene fissato oggi, ma quando saranno consegnate. Dunque il rischio, per non dire purtroppo la certezza, è che quest’anno costeranno molto di più, visto che come detto è schizzato in alto il costo della gestione delle serre dove vengono coltivate. Secondo un primo calcolo approssimativo il rischio è che si passerà da 2.000 euro ad ettaro a 4.000 euro, il doppio”.
Situazione che determina una tremenda incertezza: molti agricoltori si trovano nell’impossibilità di poter decidere e pianificare cosa coltivare, visto che il rischio potrebbe essere addirittura quello di rimetterci.
“Come inevitabile che sia, il moltiplicarsi del costo di produzione non potrà che avere come conseguenza l’aumento dei costi della vendita al dettaglio per i cittadini consumatori. Restiamo nel Fucino e prendiamo uno dei prodotti di punta, le patate: si può dare per certo che il prezzo al dettaglio, al negozio e al supermercato aumenterà di molto, e questo avverrà per tutti gli ortaggi. Oltre una certa soglia però non si potrà andare, altrimenti si rischia di non venderli. La tempesta perfetta, insomma, una crisi mai vista, a cui il governo dovrà dare delle risposte importanti per evitare il collasso del settore primario della nostra economia”, conclude amareggiato Fabrizi.
di Filippo Tronca – 3 marzo 2022
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