Il geografo argentino Federico A. Daus (1901-1988) coniò e utilizzò per la prima volta il termine di geodiversities per diversificare i differenti contesti geografico culturali della terra. Successivamente, mezzo secolo dopo, C. Sharples (1993) utilizza il termine “geodiversità” per indicare «la diversità degli elementi e dei sistemi della Terra», ovverosia il termine da geografico diviene geologico (Joyce 1997; Eberhard 1997). Verrà poco dopo definita anche l’ecodiversità quale somma dei concetti di biodiversità e geodiversità. È sicuramente con L. Erikstad (1999) che si giungerà finalmente a riconoscere nella e alla geodiversità il ruolo base per la conservazione, includendo, in una visione olistica del problema, anche la componente antropica, ovverosia il paesaggio culturale costruito e disegnato dall’uomo (Bennett, Doyle 1997, p. 221; Lick 2001). Con un altro approccio, non meno carico di etica delle responsabilità, la geodiversità è innanzitutto riconoscere la grande variabilità del “patrimonio geologico” quale eredità della storia/delle storie della Terra, i cui strumenti di lettura si perfezionano con il progredire delle scienze della terra (Wimbledon et al. 2000).
Coniugati alla definizione di geodiversità sono dunque i geositi (i luoghi) e la geoconservazione che, per quanto sopra premesso, è in relazione al paesaggio antropico e deve necessariamente essere integrata con le persone, con il loro ambiente, con la loro cultura ovverosia, secondo la definizione di M. Stanley (2001) – a nostro avviso una delle più esaustive – la geodiversità è «il link tra le persone, il paesaggio e la cultura; la varietà degli ambienti geologici, delle componenti, dei fenomeni e dei processi che li costituiscono e che si esplica nella varietà delle forme rocciose, dei minerali, dei fossili e dei suoli che forniscono l’intelaiatura per la vita sulla terra». Alcuni autori hanno definito e affrontato anche i valori della geodiversità (Wilson 1994): quello economico, che si esplica nello sfruttamento delle risorse fisiche del pianeta, e quello culturale ed estetico, con il fine per questo ultimo di preservare le bellezze fisiche e farne anche oggetto di ricerca. Più recentemente (Gray 2004) sono stati definiti quattro gruppi di valori della geodiversità:
– valore intrinseco, che si riferisce al principio etico (le cose hanno valore in quanto tali e non per ciò che possono rappresentare per le persone);
– valori culturale ed estetico, che sono assegnati dalla comunità agli elementi dell’ambiente fisico perché di particolare significato per la società;
– valore economico, ovvero la risorsa naturale da “sfruttare” (idrocarburi, metalli, minerali preziosi, materiali da costruzione, etc.);
– valore didattico e di ricerca: l’ambiente fisico è di fatto un laboratorio di ricerca. La geodiversità, come memoria della storia della terra,
ci richiama dunque alla responsabilità, verso le generazioni future, per tramandare e non distruggere i suoi luoghi poiché i processi che li hanno determinati nello spazio e nel tempo (geologico) sono irripetibili (Agostini 2000; 2003a; Dingwall 2000; Ellis 1996; Parkes 2004; Praturlon 2000; Zarlenga 2002).
La spiccata geodiversità dell’Abruzzo è determinata da molteplici formazioni geologiche e da un complesso di relative morfologie che trovano espressione soprattutto, ma non solo, nella presenza dei più elevati rilievi della catena appenninica (es. gruppo del Gran Sasso, la Maiella). Le successioni stratigrafiche, che costituiscono un aspetto peculiare per il territorio della Regione e ne caratterizzano i suoi paesaggi, sono prevalentemente costituite da litologie carbonatiche di età mesozoica e cenozoica; i litotipi sono riconducibili alle facies di piattaforma s.s. (scogliere coralline simili alle attuali Bahamas) ed a quelle di rampa (ambienti marini con fondali che progressivamente si approfondiscono simili all’attuale Mar Rosso). Inoltre la geodiversità dell’Abruzzo racconta, con facile percezione anche da parte di chi non è geologo o naturalista, le “memorie più giovani” della sua storia naturale: il clima ed i paesaggi che si sono modellati durante l’ultima fase glaciale o durante la piccola età glaciale (secoli XV-XVIII circa), oppure l’origine dei ripidi pendii che caratterizzano alla base molti versanti, da porsi spesso in relazione con faglie attive, e dunque l’espressione morfologico strutturale dei terremoti. I paesaggi sismici sono tipici del territorio dell’Abruzzo (sono da esempio l’evento del II sec. d.C., leggibile su molti monumenti per l’archeologia sismica, il sisma del 1915 di Avezzano per la sismica storica e il sisma aquilano del 2009 per quella contemporanea).
Uno scenario particolare è assunto dalle estese depressioni intramontane (es. bacino aquilano, bacino di Sulmona), sedi durante il Quaternario di ambienti lacustri e di alta palude, o presenti come il bacino del Fucino fino in epoca storica. Proprio il prosciugamento di questo grande lago ha governato profonde trasformazioni ambientali, ma anche sociali, di importanza e ricaduta non solo regionale. Altrettanto caratteristici sono i “corridoi” vallivi e i Monti della Laga, costituiti da formazioni torbiditiche silico clastiche di avanfossa. Le argille del Pliocene e del Pleistocene caratterizzano invece le colline, dal pedeappennino sino alla costa adriatica, scolpite da suggestive forme di erosione: i calanchi (es. le bolge di Atri). Non mancano neppure i fenomeni vulcanici rappresentati dall’apparato intrappenninico di Oricola (AQ). La geodiversità dell’Abruzzo, rappresentata dai suoi geositi , è stata oggetto di censimento e studio da parte del Servizio Geologico e Paleontologico della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo.
Tratto da: Quaderni di Archeologia d’Abruzzo
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