Storia
Notizie della prima costruzione si hanno intorno all’XI secolo, quando nel 1021 una bolla papale cita una cella benedettina dedicata a San Benedetto. Negli anni successivi del 1000, la chiesetta divenne un vero monastero dedicato a Santa Maria di Cartignano, sotto la guida dell’abbazia di Montecassino. Dal 1200 al 1300 non si hanno più notizie della chiesa, fino al 1390, in cui il duca Cantelmo di Popoli si prese cura della chiesa, assieme al feudo di Bussi, esigendo un nuovo ordine monastico e gerarchia di abati sotto la sua guida personale. Tuttavia ciò non valse a permettere la lunga durata di vita della chiesa, che nel 1500 e nel 1600 venne abbandonata completamente nell’oblio. Nel XVIII secolo la chiesa fu inglobata nel territorio dell’abbazia di San Liberatore a Majella e dei Monaci Celestini del Morrone. Documenti del 1770 attestano che la chiesa era ancora integra e in perfetto stato di conservazione, fino al completo abbandono nel 1800, e alla successiva riscoperta nel 1900. Tuttavia in quegli anni numerosi terremoti avevano colpito l’Abruzzo, facendo crollare tutta la copertura dell’edificio. La chiesa venne riscoperta nella seconda metà del Novecento, e restaurata integralmente, venendo tramutata in sito visitabile al pubblico.
L’esterno ha un aspetto tipicamente duecentesco, costituito da una facciata assai semplice, composta da un minuto portale con architrave a semicerchio, un rosone floreale, e un campanile a vela, frutto di ricostruzioni per anastilosi, dopo il crollo dell’originale. L’altra parte integra della chiesa è l’abside con decorazioni a “dentelli”, e il prospetto posteriore a capanna. I lati della chiesa sono circondati da piccoli archi. Sul fianco sinistro della chiesa, a ridosso di una collina, ci sono resti del cosiddetto “romito del pastore”, ossia di una casupola che accoglieva gli eremiti. L’interno prima del restauro possedeva vari affreschi e oggetti di culto, successivamente essi furono trasferiti a L’Aquila, nel Museo nazionale d’Abruzzo. Rimane un unico affresco nell’abside, ritraente il Cristo Benedicente, seduto in trono tra la Madonna e San Giovanni Battista. Altri affreschi sono visibile nei resti delle mura di copertura laterali, ritraenti San Nicola, San Benedetto, Sant’Agata, San Paolo, San Amico, San Mauro e San Pietro. All’interno era presente anche un importante bassorilievo, oggi conservato nella chiesa parrocchiale di Bussi sul Tirino: la morte in Croce di Cristo con alcune figure alate che volano attorno d esso, e due imponenti leoni che proteggono la scultura, in segno decorativo. Secondo le ipotesi degli studiosi della chiesa, l’edificio in origine doveva essere a tre navate. Inoltre il campanile a vela, si riteneva essere più ricco e massiccio, con una colonnina che dividesse la finestra delle campane. Dopo il restauro dell’abside con una copertura lignea del tetto, gli studiosi ipotizzarono che dietro l’altare, vi fosse un altro affresco nella lunetta dell’abside, oltre a quello del Cristo Benedicente; andato però perduto a causa delle intemperie.
La chiesa
La chiesa oggi presenta una facciata semplice e austera a salienti che suggeriscono la divisione interna delle tre navate. Manca il portale d’ingresso segnato da un arco a tutto sesto, dall’architrave e dagli stipiti completamente lisci, mentre leggere decorazioni sono presenti nei capitelli. All’interno della lunetta si può ipotizzare un affresco, andato perduto col tempo e con l’umidità dei detriti alluvionali che seppellirono la chiesa. Il rosone, semplicissimo, formato da otto colonnette a raggiera, è costituito da un unico blocco. Il campanile, a vela e largo metà della navata centrale, comprende un arco a sesto acuto e testimonia gli ammodernamenti del secolo XIII e la diffusione del Gotico, introdotto dai monaci Cistercensi, ma non è fedele all’originale che presentava una colonnina centrale, dividendolo in due arcatelle ospitanti due campane, particolare questo descritto nel già citato documento del 1769-ì70. All’interno la navata laterale destra, rappresenta la ricostruzione più fedele dell’antica chiesa, dovuta all’ultimo restauro del 1968, mentre in quella di sinistra si nota un capitello decorato da trote e da un rotolo a bassorilievo. La trota è il simbolo della valle del Tirino e della fornitura di trote di Bussi reca testimonianza anche il Chronicon Casauriense (cc, 1111, Buxius) “ob copiam truttarum piscium” e inoltre “quia trutta et anas in eo fecundissimo fetu congignunt”. La facciata posteriore termina con un’abside semicircolare coronata ad
archetti pensili. Il catino absidale, racchiuso da un arco a sesto acuto, ospitava un affresco, attribuito ad Armanino da Modena e oggi conservato nel Museo Nazionale d’Abruzzo a L’Aquila, rappresentante Cristo benedicente in croce tra la Madonna e San Giovanni nello schema tipicamente bizantino della deesis. Gli interventi di liberazione della struttura dai detriti alluvionali, hanno portato alla luce altri piccoli affreschi inseriti in vani rettangolari e molto danneggiati dall’umidità, raffiguranti S. Nicola, S. Benedetto, S. Agata, S. Paolo, S. Amico, S. Mauro e S. Pietro, oggi conservati nei magazzini del Museo di L’Aquila. In quell’occasione vennero recuperati anche altri pregevoli lavori di un certo valore artistico. Tra questi un bassorilievo lapideo che rappresenta il tema pasquale, conservato nella chiesa di Santa Rita a Bussi, e una statua policroma della Madonna con il Bambino di cui unica generica citazione troviamo nel documento notarile del 1769-70, anch’essa custodita nella medesima chiesa. L’edificio è completato da resti murari di cinta e di foresteria, uso questo che andrebbe accertato poiché potrebbe trattarsi di una parte del monastero i cui resti potrebbero trovarsi anche al di sotto della collina. Nella struttura muraria della chiesa sono stati rinvenuti blocchi di pietra locale con iscrizioni di epigrafi di età romana. Una di queste si trova sulla facciata principale, a sinistra del portale, e riporta un’epigrafe funeraria. Un’altra epigrafe funeraria si trova sul montante destro del portale della chiesa. La terza si trova sul muro esterno occidentale ed è una lunga iscrizione funeraria in otto linee sovrapposte.
Foto: I luoghi del silenzio
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