La chiesa sorge in aperta campagna nelle vicinanze del centro abitato di Capestrano, nei pressi del fiume Tirino. La prima testimonianza è legata al Chronicon Volturnense e datata 752, anno in cui il monastero venne confermato alla grande abbazia di San Vincenzo al Volturno dal pontefice Stefano II. Solo qualche anno più tardi il re longobardo Desiderio, salito al trono nel 756, la prese sotto la sua protezione. L’iscrizione riportata sull’architrave del portale ci aiuta a ricostruire le vicende più antiche legate all’edificazione della chiesa e alla sua ricostruzione. La fondazione della chiesa rimane collegata al re Desiderio (A REGE DESIDERIO FUNDATA). Un’intera ricostruzione dell’edificio avvenne alla fine del XII secolo, anch’essa documentata dalla seconda parte dell’iscrizione (MILLENO CENTENO RENOVATA), e dovuta ad un prete di nome Antonio, divenuto cardinale nel 1099.
Nella storia della chiesa vanno sottolineate due fasi costruttive diverse e lontane nel tempo, quella longobarda (VIII secolo) e quella romanica (XII secolo). Alla prima sono attribuiti alcuni inserti di bassorilievi, con motivi ad intreccio, presenti al di sopra del portale, che dovevano far parte del recinto presbiteriale della chiesa antica, mentre altri reperti altomedievali sono conservati nel Museo Nazionale d’Abruzzo a L’Aquila. Dell’alto medioevo ma all’ epoca carolingia appartiene anche un rilievo ad archetti e fiorellini che doveva essere parte della decorazione di un sarcofago. Inserite nella muratura originaria sono le epigrafi di età romana che rappresentano in assoluto le testimonianze più antiche della costruzione. Esse provenivano probabilmente da sepolcri o edifici pagani. E’ stato anche ipotizzato che potessero essere i resti di un tempio pagano su cui era stata edificata la chiesa cristiana.
La chiesa romanica è fortemente ispirata, sia dal punto di vista architettonico sia decorativo, alla chiesa di San Liberatore a Maiella. Presenta un impianto a tre navate con tre absidi. L’interno è tripartito da arcate a tutto sesto poggianti su pilastri quadrilateri in conci. Questi archi, in origine molto alti, in una fase successiva, non definibile, furono ribassati mediante la creazione di sottarchi meno ampi e lo spazio intermedio venne riempito da muratura; in questo modo la navata centrale venne isolata da quelle laterali quando queste erano in rovina. La navata è rischiarata dalle finestre a feritoia ricavate al di sopra delle arcate e in corrispondenza delle tre absidi. Di particolare pregio sono i capitelli dei pilastri. In parte assorbiti dalle mura aggiunte, assumono l’aspetto di cimase sporgenti o di un fregio a bassorilievo. I motivi riprodotti sono i più vari ed originali e si ispirano ad elementi del mondo vegetale ed animale e a motivi simbolici arcaici. Tralci, fogliame, palmette, grappoli, fiori e boccioli sono combinati con raffigurazioni animali come il leone, l’uccello, il cane e figure meno definite. Sono certamente un prodotto della fase romanica e trovano somiglianza con capitelli dello stesso periodo presenti in altre chiese abruzzesi, come i capitelli della cripta della cattedrale di Sulmona o i capitelli dei piloni di Santa Maria in Valle Porclaneta.
Dei gradini immettono al presbiterio che comprende l’altare e il magnifico ciborio (vd. Sezione Scultura medievale, prov. Aq), sormontato da un tiburio ottagonale decorato da archetti ogivali intrecciati e da piastrelle in maiolica policroma. Nel catino absidale sono presenti tracce di un ciclo di affreschi risalenti alla prima metà del dodicesimo secolo, raffiguranti Cristo tra gli angeli e i Ventiquattro Vecchi dell’Apocalisse. La facciata in pietra concia è da riferire all’età romanica. Su di essa spicca il bel portale composto di due piedritti sormontati da capitelli poco sporgenti decorati da un ornato di grande fantasia artistica. Nei piedritti un tralcio si snoda nel senso dell’altezza tra due listelli anch’essi riccamente decorati, il tralcio di sinistra è unico e parte dalle fauci di un drago, quello di destra nasce da una foglia di acanto e si divide in due gambi che procedono intrecciati. Nei capitelli prevale un motivo a traforo in cui le foglie risultano staccate dal fondo. Essi risultano composti di due livelli, quello in basso, di maggiore altezza, composto da palme e quello in alto, più sottile, presenta foglie d’acanto. Su di essi poggia l’architrave monolitico liscio su cui è riportata l’iscrizione. A coronare il tutto è un archivolto composto da due archi concentrici che presentano lo stesso motivo ornamentale, palmette a pannocchia, solo di diversa grandezza. Ai lati del portale sono due bassorilievi raffiguranti San Vincenzo Diacono e il profeta Davide.
Nella lunetta resta qualche frammento di un affresco raffigurante San Pietro Papa da attribuire allo stesso periodo degli affreschi del presbiterio, il dodicesimo secolo. Il portale, per caratteri stilistici, si può definire una filiazione dell’arte e della scuola di San Liberatore a Maiella e del successivo influsso casauriense. La paternità del portale spetta alle maestranze di San Liberatore che lo realizzarono intorno alla fine del 1100 ma un’opera di restauro fu avviata alla fine del dodicesimo secolo ad opera di un maestro proveniente da San Clemente a Casauria. L’impostazione generale del portale e la conformazione e decorazione dell’archivolto sono una diretta filiazione dei portali di San Liberatore mentre gli stipiti e i capitelli, rinnovati nella fase del restauro, sono molto vicini per caratteri, come il motivo dell’intaglio e quello delle palme, al linguaggio utilizzato a San Clemente a Casauria. Sulla facciata, a sinistra del portale, è murata un’iscrizione di particolare importanza per la sua enigmaticità: “sator arepo tenet opera rotas”. Coeva all’epigrafe dell’architrave, e perciò risalente al XII secolo, l’iscrizione è disposta su cinque righe in modo che da qualunque parte si legga la frase resta inalterata. Sull’interpretazione sono state avanzate numerose ipotesi tra cui una lettura bustrofedica delle righe per cui viene fuori una frase che contiene un monito ai fedeli: “il seminatore controlla i lavori dei campi” oppure l’anagramma delle parole Pater Noster.
San Pietro conserva, murata nella facciata, la famosa enigmatica iscrizione che ha suscitato tanta curiosità nel corso dei secoli: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS. L’iscrizione in bei caratteri maiuscoli scolpiti a rilievo, dagli apici triangolari evidenti, disposta su cinque righe di cui due sottolineate, è riconducibile all’epoca della epigrafe dell’architrave, quindi al secolo XII. Comunemente assimilata ad un palindromo, cioè ad una parola o ad una frase che si può leggere da sinistra a destra e viceversa senza che risulti alterato il senso e la disposizione delle parole, il quadrato magico va oltre il palindromo, in quanto, disponendo le cinque parole, ciascuna di cinque lettere, su cinque righe si forma un quadrato. Leggendo le parole così disposte da sinistra a destra, riga dopo riga, equivale a leggerle dal basso in senso contrario e anche in linea verticale, da sinistra a destra prima e da destra a sinistra poi, partendo dall’ultima lettera in basso. Il suo significato è controverso, le traduzioni dal latino spesso fantasiose. L’ipotesi più verosimile potrebbe essere legata alla lettura bustrofedica delle righe, caso non raro nell’antichità, per cui potremmo leggere: SATOR OPERA TENET – TENET OPERA SATOR, una frase di senso compiuto che significa semplicemente “Il seminatore controlla i lavori dei campi”. Ovvero il monito ai fedeli : Il Creatore ricorda le opere, e ancora meglio, Il Creatore tiene a mente il tuo operato. Rinvierei in altra sede qualsiasi ulteriore speculazione, come per esempio la macchinosa interpretazione anagrammatica del testo, che darebbe luogo alle parole PATER NOSTER disposte a formare una croce greca con due A e due O alle estremità dei bracci, simbolicamente riferite ad Alfa e Omega, Inizio e Fine di tutto secondo l’Apocalisse. Gli affreschi che decorano l’abside, dal caratteristico color ocra, sono molto importanti per la storia dell’arte abruzzese in quanto testo pittorico di arte romanica
Il Quadrato di Sator è una scritta palindroma che cioè può essere letta dadestra verso sinistra, da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso e dal basso verso l’altro e in questo caso cita le parole “rotas opera tenet arepo sator” sempre perfettamente uguali lette nei vari sensi. Questa formula (Rotas Opera Tenet Arepo Sator) era molto diffusa nelle località dell’Impero Romano, probabilmente propagandata anche per mezzo dei legionari di guarnigione. Nel 1937 fu ritrovata cinque volte in Mesopotamia e se ne hanno esempi in Egitto, in Cappadocia, in Britannia e in Ungheria. Sono spesso presenti nelle costruzioni sacre medievali che sono attribuibili all’Ordine dei Monaci Templari e a quelle in qualche modo con loro collegabili.
Il portale principale è formato da un elemento trilitico. L’ingresso è sormontato da due archi a tutto sesto, diviso in cornici irregolari di pietra, sulle quali sono scolpiti ornamenti simmetrici di epoca longobarda (cerchi annodati) che appartenevano, probabilmente, al recinto presbiteriale della prima chiesa. Nella lunetta è visibile un affresco che, forse, ritraeva San Pietro in trono e che appare piuttosto deteriorato. I due stipiti del portale presentano decorazioni e bassorilievi di epoca bizantina. Alla destra del portale un rettangolo incornicia la figura di un santo ed una scritta accanto recita “S. Vincenzus Diaconus“, riferendosi, probabilmente, alla donazione della chiesa al Monastero di San Vincenzo al Volturno. Molti dei reperti dell’edificio altomedioevale sono oggi conservati al Museo Nazionale d’Abruzzo. L’interno della chiesa è a tre navate con abside sul fondo. La navata centrale è più larga delle laterali. Saggi del materiale di costruzione originale dell’edificio sono visibili nella parte inferiore della facciata e nel rivestimento delle absidi.
Credits: Regione Abruzzo
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