Immagine tratta da Il Centro
Opera dell’Ing. Patrizia Montuori
13 gennaio 1915. La più grande catastrofe in terra Marsicana
Il mattimo del 13 gennaio 1915 una prima fortissima scossa di terremoto, con magnitudo dell’undicesimo grado della scala Mercalli, scolvolse intera zona della Marsica, distruggendo Avezzano, tutti i paesi nell’area del Fucino, della valle del Liri e della valle Roveto, provocando danni anche nella provincia di Roma. Nella stessa giornata la Deputazione provinciale di Roma, senza neppure attendere precise notizie riguardanti i vari paesi colpiti dal disastro, organizzò la formazione di quattro squadre, ciascuna accompagnata da un ingegnere, con l’ordine di recarsi in diverse località nei pressi della capitale, per verificare la situazione in loco. Fu inoltre deliberato di erogare a beneficio dei paesi danneggiati £100.000, di cui £20.000, destinati all’acquisto di indumenti, coperte, pane e altri oggetti di prima necessità. Dalle relazioni inviate dai soccorritori emerse ben presto che il terremoto aveva colpito più duramente le zone di Avezzano e di Sora rispetto alla provincia di Roma e, pertanto, la Deputazione stabilì che la ripartizione iniziale della somma messa a disposizione fosse rovesciata destinando la maggior parte degli aiuti alle zone della Marsica.
Il 15 gennaio 1915 il sindaco di Roma, Prospero Colonna, avuta maggiore chiarezza della gravità del disastro, si adoperò per creare una struttura organizzativa in grado di fronteggiare quello che andava delineandosi come un grande sforzo. Si trattava di assistere in modo adeguato i numerosi feriti che dovevano essere allontanati dai paesi distrutti e dare ricovero alla popolazione terremotata, in attesa della ricostruzione. Nella necessità di essere operativi fin dai primi momenti si decise di formare una serie di commissioni composte da personale dell’Amministrazione e nobildonne romane, coordinate da consiglieri e assessori comunali, incaricando ciascuna di accogliere i rifugiati e assegnarli alle diverse strutture della città. In contemporanea con queste iniziative del comune di Roma, il Consiglio dei ministri si dotò di un’organizzazione per coordinare e uniformare le varie iniziative sorte in tutte Italia decretando, il 17 gennaio, l’istituzione del Comitato centrale di soccorso e creando presso la Banca d’Italia un conto corrente nel quale le autorità e i comitati locali avrebbero dovuto versare le somme raccolte. Inoltre si sollecitava la costituzione di comitati locali che designassero un comune colpito al quale volessero indirizzare la propria benefica opera. Sulla spinta di quanto stabilito dalle autorità governative il sindaco Colonna, sollecitato dall’Associazione fra i romani, costituì il Comitato generale romano di soccorso per i danneggiati dal terremoto che alcuni giorni più tardi mutò il suo nome in Comitato romano di soccorso per i danneggiati dal terremoto marsicano (da ora in poi Comitato romano 1915) con il compito specifico di ricostruire le case crollate del comune di Avezzano. Le già costituite Commissioni, di cui si è parlato prima, rimasero attive ma con la competenza di continuare a occuparsi dell’organizzazione e del sostegno di coloro che via via venivano trasferiti in città. Il Comitato romano 1915 avendo la grande fortuna di disporre anche del denaro ricevuto da Il Messaggero e delle offerte raccolte in due passeggiate di beneficienza organizzate dall’Associazione fra i romani, potè raggiungere la somma di £169.071,69. Vista l’entità della cifra maturò all’interno del Comitato romano 1915 la decisione di costruire, oltre a casette di legno unifamiliari, ricoperte di tegole marsigliesi e dalle pareti rivestite con rete cementata in grado di ospitare 700 persone, anche molti edifici pubblici della città di Avezzano, come la scuola, la stazione sanitaria, il mercato coperto, la sede provvisoria del comune nonché un albergo-ristorante per la riattivazione dei rapporti commerciali e turistici. Il 20 ottobre 1915 dopo otto mesi di attività il Comitato romano 1915, riunitosi nella sede centrale di Pro Italia-associazione nazionale italiana per il movimento dei forestieri, assenti alcuni membri, nel frattempo, richiamati al fronte, verificato il bilancio e considerato che presso il citato conto corrente della Banca d’Italia erano rimaste £8.555,17, decise all’unanimità che questa somma residuale fosse messa a disposizione dell’Associazione della stampa periodica italiana per il completamento dell’ospedale di Avezzano e delle opere accessorie. Con questo atto il Comitato romano 1915 deliberò chiusi i lavori.
Estratto da “Avezzano rinasce. Ville, villini e palazzine protagonisti di una nuova identità urbana”
#Ing. Patrizia Montuori
Sebastiano Bultrini, autore del piano regolatore e di ampliamento approvato nell’ottobre del 1916 per la ricostruzione di Avezzano, distrutta dal sisma del 1915, chiude con questo sentito appello la relazione dello strumento urbanistico che delineerà la nuova facies insediativa della città. Impostata su una griglia “ippodamea” di strade «dritte e spaziose»2 intersecata da sistemi di tridenti, la città disegnata da Bultrini è certamente frutto delle disposizioni del Regio Decreto n. 582 del 1915, che regolava l’esecuzione delle opere nelle località colpite dal sisma, compresi gli strumenti urbanistici, ma riprende anche modelli ottocenteschi e quanto già elaborato dallo stesso Bultrini con l’ingegnere Loreto Orlandi per il piano di ampliamento e risanamento di Avezzano del 1912. Dopo pochi anni dall’avvio della ricostruzione incentrata, nella prima fase, sul quadrilatero tra la linea ferroviaria Roccasecca-Avezzano, la ferrovia dello zuccherificio del Fucino, via XX settembre, piazza Torlonia e via Roma, e adiacente all’antico abitato ingombro di macerie, Avezzano moderna è già descritta come una città ricostruita «(…) su nuovi piani e con criteri edilizi del tutto moderni» in cui «il nostro secolo ha potuto ben poco contribuire per il lato artistico alla città rinascente perché le teste degli architetti hanno dovuto rispettare norme e limiti di altezza, di materiali, di spazio, fissate dal Genio Civile, onde scongiurare nuovi pericoli».
D’altra parte a Messina e Reggio Calabria, distrutte dal sisma del 28 dicembre 1908, la “città asismica” si andava già definendo come un insieme urbano estremamente omogeneo, generalmente impostato su una maglia viaria a scacchiera e con tipologie edilizie ripetitive e standardizzate, come in coevi modelli urbani per la città moderna (a esempio la Citè Industrielle di Tony Garnier). Gustavo Giovannoni, illustre professionista romano attivo nel dibattito teorico sulla ricostruzione calabro-sicula e marsicana, infatti, aveva rilevato come i centri rinati obbedissero di solito «al pregiudizio della geometria a due dimensioni» auspicando, invece, che si adottasse una «composizione irregolare e movimentata delle masse» affinché «ogni casa non divenga un numero come la cella di un carcerato, ma sia l’abitazione, pur povera e semplice, di una famiglia». Ad Avezzano la maglia quadrangolare e regolare dei lotti è parzialmente movimentata dal “tridente” di strade formato dalla via Diagonale e la via e dalla preesistente via Giuseppe Garibaldi. Quest’ultima, insieme con via Vittorio Emanuele III e via Roma, è anche uno dei tre assi pressoché paralleli che attraversano la città da nord a sud: essi individuano una sommaria zonizzazione, secondo cui quasi tutta l’area centrale del nuovo abitato, quella compresa tra le vie Garibaldi e Roma, è destinata ad abitazioni civili, poi realizzate con tipologie a ville, villini e palazzine. Le palazzine, a due piani e più unità immobiliari, delineano prevalentemente i fronti degli assi viari strutturanti del nuovo abitato, mentre le ville e i villini punteggiano il resto del tessuto urbano, conferendo all’Avezzano moderna l’immagine ordinata e omogenea di una “città giardino” a bassa densità. L’elemento generatore della trama urbana ed edilizia è, comunque, la griglia stradale bidimensionale e, quindi, protagonisti non sono il gioco volumetrico e la massa degli edifici, come auspicato da Giovannoni, ma le loro facciate che, soprattutto lungo i principali assi stradali, si dispongono in una sequenza pressoché continua e uniforme, formando delle quinte architettoniche “di pregio”. Grazie alla maglia ortogonale s’incrementano anche gli incroci e il numero delle costruzioni d’angolo, di maggior prestigio e valore fondiario. Le soluzioni adottate nei fabbricati residenziali all’incrocio dei numerosi assi ortogonali, quindi, divengono un’ulteriore cifra distintiva della nuova Avezzano, un tema di sperimentazione di fantasiose soluzioni architettoniche e decorative che, solitamente, attingono a “piene mani” al linguaggio liberty o eclettico. Lungo la via Antonio Salandra (l’attuale via Camillo Corradini), asse strutturante del moderno abitato che taglia quasi a metà, da est a ovest, la griglia stradale, il “tridente” e gli assi longitudinali, gli incroci sono quasi tutti caratterizzati da palazzine con soluzioni d’angolo particolarmente curate dal punto di vista architettonico e decorativo (fig. 1).
Avezzano, soluzioni d’angolo in alcune delle palazzine costruite lungo via Antonio Salandra e via Diagonale (via Camillo Corradini, via Guglielmo Marconi-corso della Libertà) (foto dell’autrice 2011-14)
L’edificio conosciuto come palazzo Spina, a esempio, qualifica l’incrocio con la via (oggi via Vittorio Veneto), e l’angolo arrotondato e alleggerito al primo piano da una finestra a tutta altezza scandita da colonnine in pietra artificiale, è il reale protagonista dello spazio urbano antistante. All’estrema regolarità e omogeneità planimetrica prodotta dall’applicazione dei dati dimensionali e tecnici proposti dalla normativa, dunque, fa da contr altare, a Messina e Reggio Calabria come ad Avezzano, la preoccupazione dei progettisti di conferire un decoro complessivo alla città ricostruita, principalmente inserendo nelle facciate degli edifici elementi decorativi tratti dal repertorio linguistico floreale o eclettico. Negli edifici residenziali realizzati dopo il 1915, non si sperimentano soluzioni originali dal punto di vista architettonico, tipologico o costruttivo, tutto grazie alle ville, villini e palazzine progettate, prevalentemente, da professionisti locali, pressoché sconosciuti sulla scena architettonica nazionale e internazionale. Solitamente caratterizzate da planimetrie e volumetrie ripetitive, esse presentano facciate arricchite da elementi architettonici e decorativi in stile liberty, neomedievale o neoclassico, e propongono un vero e proprio catalogo di soluzioni che sembrano direttamente tratte dalla manualistica del periodo.
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