Abbazia cistercense di Santa Maria Arabona. Risalente alla fine del XII sec. (inizio lavori 1197) realizzata probabilmente sul sito di un più antico luogo di culto risalente all’antichità, ubicata a poca distanza dal sito della grande villa romana.
L’area marrucina della provincia di Pescara
La villa romana in località S. Maria Arabona di Manoppello è situata lungo la vallata del fiume Pescara su un alto pianoro, Piana S. Maria, poco più di un km a sud della celebre abbazia medievale di Santa Maria Arabona. Questo territorio situato sul versante settentrionale della Maiella, a sud del fiume Pescara, era anticamente abitato dal popolo italico dei Marrucini, confinanti con i Vestini c.d. Transmontani che controllavano il territorio corrispondente all’attuale Provincia di Pescara. Le ricerche archeologiche condotte negli ultimi anni hanno in effetti rilevato la presenza sull’ampio pianoro in contrada Piano S. Maria Arabona di Manoppello di un esteso ed importante abitato italico, connesso a due sepolcreti con fasi di VI-IV secolo a.C. nelle località Vicennola e Casino Marinelli In località Piano S.Maria Arabona nel 1985 venne in luce una tomba con corredo costituito da punta di lancia, sauroter, e coltello e vari rinvenimenti sporadici riferibili evidentemente a sepolture, oltre che la nota testa di Manoppello, raffigurante un volto maschile con collare a fascetta di bronzo, confrontabile con la stele di Guardiagrele ed il Guerriero di Capestrano. Nel corso del III-II sec.a.C. si sviluppano una serie di piccoli abitati rurali, che dovevano avere come punto di riferimento un santuario, presso cui la popolazione esprimeva devozione e richieste di aiuto alla divinità, individuato probabilmente presso l’abbazia di S. Maria Arabona, nel cui toponimo è forse superstite il nome stesso della dea (Bona Dea). Tale popolamento confluisce tra II e I sec. a.C. nell’organizzazione territoriale di una grande villa, fra le più antiche dell’intero territorio provinciale.
Elemento rilevante nella riorganizzazione dell’antico assetto italico del territorio appare infatti la progressiva ed ampia diffusione, sin dal II e soprattutto I secolo a.C., del modello della villa rustica, destinato a modificare profondamente gli aspetti organizzativi ed insediativi dell’economia agricola locale. Esempio evidente di tale modello abitativo appare la grande villa in località Piano S. Maria Arabona, forse sviluppatasi in origine come semplice fattoria (secc.IIIII a.C.), e poi trasformatasi agli inizi del I secolo a.C. in nobile villa, che doveva interessare un vasto ambito territoriale circostante interessato dalla presenza di una necropoli nel cui ambito sono stati scavati un monumentale sarcofago e più semplici sepolture alla cappuccina, con corredo di lucerne e vasellame vitreo. A breve distanza limitate indagini condotte rimettevano alla luce nel 1990 un’altra grande villa, ubicata in loc. S. Clerico su un alto terrazzo collinare verso la sottostante vallata del Pescara, caratterizzata anch’essa dalla presenza di vani termali e nobili ambienti di residenza con fasi di occupazione sino al VI-VII secolo.
L’assetto del territorio fra tarda antichità ed inizi dell’alto medioevo
Nella tarda antichità anche questo territorio dovette progressivamente essere oggetto di quella più generale crisi che coinvolge le regioni occidentali dell’Impero ed in particolare l’Italia, nel cui ambito i centri abitati risultano sottoposti a dinamiche di progressiva concentrazione, ed il popolamento rurale va progressivamente rarefacendosi, con la costituzione di grandi latifondi, le cui ville vanno poi sopravvivendo sino alla più tarda antichità. Caso esemplare appare la citata villa in loc. S. Clerico, dalle cui fasi più tarde provengono materiali di epoca bizantina (ultimi decenni del VI secolo), mentre la prosecuzione dell’insediamento in età altomedievale è documentata dai resti di una capanna insediatasi fra le rovine della villa quando ne erano già crollati i tetti. (ARS)
La villa rustica di Piano S. Maria Arabona
La grande villa in località Piano S. Maria Arabona di Manoppello, forse sviluppatasi in origine come semplice fattoria (secc. II-I a.C.), si sviluppa agli inizi dell’impero sino a trasformarsi in una nobile villa di campagna. La parte sinora scavata costituisce solo parte di un ben più esteso impianto, che sembra presentare un duplice orientamento, forse diversificato cronologicamente, e che doveva interessare un vasto ambito territoriale circostante. Non diversamente da impianti medio-grandi della tarda età repubblicana, anche questa villa sembra articolarsi funzionalmente in almeno tre parti diverse, che possono essere ripartite in: 1) ambienti residenziali, ossia la domus vera e propria, i cui vani funzionali non sono ancora definibili nel loro complesso, mentre molto meglio individuato è l’impianto termale privato annesso alla villa. 2) ambienti misti (a destinazione residenziale e produttiva), ossia gli ambienti a est della struttura, caratterizzati dalla presenza di una piccola vasca con pareti rivestite in malta idraulica e pavimento in opus spicatum, destinata a contenere uno dei prodotti agricoli lavorati nell’azienda, durante le fasi della lavorazione. 3) strutture per le attività produttive Gli ambienti della parte agricola (pars rustica) della villa non sono stati ancora esplorati. Sappiamo tuttavia che nella parte est di quest’area sono ancora sepolti altri ambienti pavimentati in opus spicatum destinati verosimilmente alla rimessa degli attrezzi agricoli e allo stoccaggio del raccolto, e una grande cisterna realizzata in cocciopesto. Si tratta dell’evidente testimonianza di un impianto di notevole estensione. (ARS)
L’impianto termale della villa
L’assetto complessivo dell’impianto Nella parte nord occidentale del settore residenziale della villa, erano situati i bagni privati (balnea) destinati evidentemente al dominus – signore della villa e ai suoi famigliari e ospiti. L’impianto rinvenuto ripete, in scala ridotta, lo schema completo degli impianti termali pubblici delle città e comprendeva almeno quattro ambienti comunicanti (vedi pianta a pag. 9: A-B-F-N). Da un piccolo spogliatoio (Amb. B-apodyterium) di forma trapeizoidale, pavimentato con mosaico bianco e nero si accedeva al frigidarium, la sala per il bagno con acqua fredda, collocato nell’atrio della villa. L’ambiente, di forma quadrangolare, presenta al centro, delimitata da colonne in laterizio rivestite con intonaco bianco, una piccola vasca quadrata per il bagno in acqua fredda (2×2 mt, profonda 1,30 mt), con due gradini nell’angolo S/E foderati con lastre di marmo biancastro e pareti rivestite in cocciopesto. Il mosaico dell’ambiente è del tipo punteggiato di tessere in colore contrastante, con una balza marginale di colore bianco e un tesselato di colore nero punteggiato di piccole losanghe ottenute con tessere bianche, ed è confrontabile con mosaici inquadrabile fra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I secolo d.C. Gli ambienti riscaldati Dal frigidarium si passava al tepidarium, ambiente a temperatura moderata (amb. F) che serviva a preparare il corpo alle alte temperature del calidarium, ma anche a evitare dispersioni di calore da quest’ultimo. Dal tepidarium si accedeva quindi al calidarium della villa, caratterizzato da un abside sulla parete nord, in cui poteva essere forse collocato originariamente il labrum, il bacino generalmente in marmo per le abluzioni con acqua fredda; lungo la parete S in una nicchia rettangolare si conservano inoltre alcuni tubuli, ovvero delle condutture per il fumo ed il calore di terracotta, a sezione rettangolare, fissati al muro e poi ricoperti con uno strato di intonaco, che assicuravano un calore omogeneo in tutta la stanza; nella parte alta del muro erano infine delle bocche del camino, che assicuravano il tiraggio e l’evacuazione del fumo. Il calidarium era generalmente riscaldato con un sistema ad hypocaustum, ovvero facendo circolare aria calda in una intercapedine posta al di sotto del pavimento, e sospesa su pilastrini quasi sempre realizzati in laterizio (suspensurae). Il rifornimento e riscaldamento d’acqua Il rifornimento idrico delle terme doveva provenire da una cisterna posta forse a monte o da un serbatoio sul tetto, entrambi alimentati dall’acqua piovana. Nel frigidarium è stata infatti rinvenuta una canaletta in pendenza da O ad E, diretta al tepidarium. Era possibile riscaldare sia l’acqua che l’aria circolante al di sotto dei pavimenti mediante il calore che veniva prodotto in una vicina fornace (praefurnium), collocato in via ipotetica in un ambiente confinante con il vano H , proprio dietro la nicchia rettangolare, dove sono venuti in luce strati di carbone e cenere. (RO)
Le ricche decorazioni della villa
I pavimenti Nelle ville la scelta del pavimento dipendeva dalla sua destinazione d’uso; i pavimenti erano di due tipi, quelli di “lusso”, realizzati con materiali costosi e di fattura più elaborata destinati alle stanze residenziali, e quelli destinati agli ambienti produttivi e di servizio realizzati con materiali più robusti e resistenti, che nel corso dei secoli rimasero sostanzialmente sempre gli stessi, cotto, spicatum (a spina di pesce), pietra e cocciopesto. I mosaici della villa sono tutti caratterizzati dall’uso della bicromia bianco-nera ed inquadrabili fra la metà del I secolo a.C. e la prima metà del I secolo d.C. Lo schema decorativo rinvenuto nell’ambiente termale del frigidarium è del tipo punteggiato di tessere in colore contrastante con una cornice bianca e una fascia centrale nera punteggiata da tessere bianche a distanza regolare, ed è confrontabile con un tipo attestato ad Ostia nella domus del Peristilio, datato al I secolo d.C. e con un tipo presente nella villa romana di Cottanello nella Sabina. I rivestimenti parietali I numerosi frammenti di intonaco dipinto, rinvenuti ancora in posto sui muri in reticolato, o “crollati” sui pavimenti degli ambienti, testimoniano della ricchezza decorativa e della sontuosità della villa. Le pareti degli ambienti residenziali si presentavano con colori vivaci e forti, dal famoso c.d. “rosso pompeiano”, il colore più tipico delle pitture di età romana, ottenuto con il cinabro, una terra ricca di vari ossidi di ferro, al giallo, bianco e azzurro, reso con l’armenium e l’Indicum, dei preziosi pigmenti esotici. Un ampio tratto di affresco venuto in luce nell’ambiente A (il frigidarium) conserva un elegante schema decorativo, comprendente un raffinato motivo vegetale stilizzato in bianco dipinto su uno sfondo azzurro intenso. (MO) I marmi Nelle grandi ville si affermò nella prima età imperiale il rivestimento parietale in marmo a grandi pannelli, decorazione molto costosa e lussuosa. Dallo scavo provengono infatti diversi frammenti di marmo utilizzati per il rivestimento parietale, come le lastre ancora conservate sui gradini della vasca del frigidario in marmo bianco, per le soglie o per altri usi; i tipi riconosciuti appartengono ai classici marmi utilizzati in età romana e diffusi fra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del II secolo d.C, provenienti da cave situate in Italia, come il marmo bianco forse da Carrara e l’Ardesia dalla Liguria, da cave greche (come il Cipollino ed il Rosso antico) e da cave in Asia Minore (come il Portasanta, l’Africano ed il Pavonazzetto). Si segnala infine sia per quantità che per qualità la notevole presenza di frammenti di marmo giallo antico proveniente dalle cave di Chemtou in Tunisia. (MM)
L’economia agricola e pastorale nell’antichità
La produzione di olio Il quadro produttivo di questo territorio era allora, come adesso, strettamente legato alla produzione di olio e vino, una produzione bimillenaria, che si diffonde nell’età del Bronzo (2300-1000 a.C.) e prosegue ininterrottamente sino ai giorni nostri. La lavorazione di olio e vino doveva avvenire nella parte rustica della villa, non ancora indagata: dalle testimonianze archeologiche sinora esplorate nel territorio sappiamo che il settore destinato alle lavorazioni comprendeva magazzini attrezzati con grandi dolii o contenitori in terracotta in parte interrati, per la conservazione dei frutti e del prodotto (ne sono stati recuperati diversi frammenti), oltre a vasche e torculari per la spremitura e raffinazione dell’olio del prodotto finito. Nell’area si è conservato un notevole patrimonio di varietà ed ecotipi locali di olivo, recuperate e rilanciate recentemente sul mercato, come la carpinetana, la toccolana e la dritta, peculiari proprio della provincia di Pescara e alla base dell’attuale e unico olio extravergine d’oliva DOP “Aprutino”. La produzione di vino Sappiamo dalle fonti scritte ed archeologiche che lungo le fertili propaggini collinari che si estendevano dal Gran Sasso al Mare Adriatico erano prodotte ingenti quantità di vino esportate nell’intero bacino del Mediterraneo fra il II secolo a.C. ed il I d.C. Dalla strati di interro presenti nella villa provengono infatti alcuni frammenti di anfore da trasporto, quei contenitori utilizzati nell’antichità per trasportare e esportare prodotti agricoli, come olio e vino. I vigneti erano coltivati in passato, ed in alcune aree L’economia agricola e pastorale nell’antichità Panoramica del ancora oggi, con il modo grecolatino, ovvero con la vite coltivata ad alberello e sorretta da canne e fra le varietà d’uva presenti ricordiamo il muscardello, il pergolo, l’uva pane, l’uva donnole, il precoccio e la malvasia. L’allevamento degli ovini-caprini Anche l’attività pastorale si sviluppa e intensifica a partire dalle fasi finali dell’Età del Bronzo con uno sviluppo dell’allevamento bovino e ovicaprino. Dalle greggi allevate nell’ambito di forme di transumanza verticale (spostamento dei pascoli bassi a quelli di altura della vicina Majella), sopravissute sino al secolo scorso con il nome di “montificazione”, provenivano le carni di ovini e caprini di cui le fonti antiche esaltavano le qualità. Nella zona erano anticamente presenti produzioni di carne, latte e lana, anche se con il tempo la lavorazione della lana è scomparsa quasi del tutto ed è invece proseguita la produzione del latte da trasformare in formaggio e simili. (MR)
Area Archeologica della villa romana in Contrada S. Maria Arabona di
Manoppello – proprietà dello Stato (D. Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 e
SS.MM.II.: decreto del Direttore Regionale per i BB.CC.e PP. dell’Abruzzo
24 marzo 2010, comune di Manoppello, fg. 18, part. 236)
Lavori di scavo e valorizzazione – Programmi del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali – Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici
dell’Abruzzo – Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo, 2002-
2007 (perizie n. 8 /2001, n. 17/2002, progetto del 16.12.2004).
Direttore Regionale per i per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Abruzzo
Anna Maria Reggiani
Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Abruzzo
Andrea Pessina
Progetto di realizzazione dell’area archeologica
I lotto) Lavori di scavo archeologico – fondi ordinari, anno 2001, capitolo
7702, importo euro 100.000, lavori eseguiti 2002 da C.O.I.D. s.r.l. – L’Aquila
(2002).
II lotto) Lavori di scavo e restauro – fondi ordinari, anno 2002, capitolo
7867 importo euro 51.645,69, lavori eseguiti 2002-2003 da C.O.I.D. s.r.l.
– L’Aquila (2002); Restauro delle pavimentazioni a mosaico e degli affreschi:
Michele Montanaro.
III lotto) Lavori di valorizzazione e realizzazzazione coperture e percorsi di visita
– fondi ordinari, anno 2004, capitolo 7862: importo euro 70.000, lavori
eseguiti 2006-2007 da Tekno Domus Costruzioni Generali s.r.l.
Direzione scientifica: Andrea R. Staffa, Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell’Abruzzo.
Progettazione e direzione lavori scavi archeologici e restauri: Geom. Domenico
Lucci, A.R. Staffa.
Direzione lavori di valorizzazione: arch. Vincenzo Scarci.
Assistente di cantiere: sig. Osvaldo Corneli.
Contabilità: Geom. D. Lucci (2002-2003), geom. P. Di Sabatino (2006-
2007).
Documentazione fotografia: Franca Nestore.
Documentazione scientifica e archeologica: archeologhe Mirella Petrocco, Roberta
Odoardi, Manuela Rosati.
Rilievi: R. Odoardi, M. Petrocco, Enrico Siena, Michela Terrigni.
Primo ordinamento e sistemazione del materiale dallo scavo
Ufficio Catalogo della Soprintandenza per i Beni Archeologici per l’Abruzzo
Paolo Castracane e Giulia Borriello; A.R. Staffa, O. Corneli, R. Odoardi,
M. Rosati.
Guida e pannelli didattici-esplicativi
Coordinamento scientifico ed operativo: A.R. Staffa;
Ideazione e redazione: A.R. Staffa, Sandro Di Liberatore;
Testi: A.R. Staffa (ARS), R. Odoardi (RO), M. Rosati (MR), Michele Montanaro
(MM)
Apparato grafico-illustrativo:
Coordinamento: A.R. Staffa; elaborazione: F. Nestore, R. Odoardi, M. Rosati,
Grafici e disegni: R. Odoardi, A.R. Staffa, M. Rosati, Enrico Siena
Fotografie: F. Nestore, O. Corneli
Elaborazione computerizzata e stampa guida: EditPress s.r.l., Castellalto (TE)
Si ringraziano per la preziosa collaborazione e il supporto:
-Nicola Di Marco, Loreto Aprutino;
-Amministrazione comunale di Manoppello, nella persona dei sindaci Giorgio
De Luca, Gennaro Matarazzo, presidente del Consiglio Gaetano Villani,
-signora Rosanna Barbetta e famiglia;
– Società IMTE S.p.A.
Sede legale: Via Edison Volta, 25/A – 43100 PARMA
Uffici e stabilimento: Loc. Pescara Secca – 65020 ROSCIANO (PE), per aver
consentito, grazie alla collaborazione con il Comune di Manoppello, la stampa
della presente guida.
Gestione area archeologica di Manoppello:
A cura del comune di Manoppello (delibera di C.C. n. 53 del 30 novembre
2009), mediante convenzione in data 3 giugno 2010 fra Comune e proprietaria
delle aree circostanti i resti archeologici della villa, s.ra Rosanna Barbetta,
contrada S. Maria Arabona 16.
Credits: A cura di Andrea R. Staffa – Testi di Roberta Odoardi, Manuela Rosati, A.R. Staffa
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