Economia: generalità
Integrata nel Regno di Napoli fino all’Unità d’Italia, la regione, pur situata nel centro della penisola, sul piano economico ha gravitato intorno alle regioni del Sud. Inoltre, il territorio prevalentemente montuoso vi ha favorito a lungo le attività silvo-pastorali in luogo di un’agricoltura moderna e di altre attività maggiormente avanzate. A ritardare lo sviluppo dell’Abruzzo ha contribuito anche un’emigrazione particolarmente intensa; basti pensare che dall’Unità alla prima guerra mondiale ben 700.000 persone hanno abbandonato permanentemente la regione; e a queste se ne sono aggiunte altre 450.000 dopo il secondo dopoguerra. La svolta in Abruzzo si è verificata nel corso del ventennio 1961-81, sostenuta dal grande sviluppo industriale che ha investito la penisola. In tale arco di tempo, nuove forze propulsive hanno fatto ridurre le attività tradizionali in favore di un incremento dell’industria manifatturiera, ponendo anche fine all’emigrazione; e del resto specie dagli anni Novanta il processo si è invertito, con l’Abruzzo divenuto regione che accoglie lavoratori immigrati. Infatti, tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta ha perduto, sia sul piano dell’immagine sia sulla base di riscontri oggettivi, le caratteristiche tipiche delle regioni arretrate meridionali, a vantaggio di un benessere molto più diffuso. Una svolta decisiva per l’economia abruzzese si è verificata nel 1999, da quando la regione non ha più beneficiato dei sostegni comunitari destinati alle aree deboli; da allora le imprese hanno dovuto fronteggiare costi del lavoro più elevati, che le hanno costrette a misurarsi con l’economia di mercato senza più protezioni e a esporsi a rischi di perdita di competitività. Un “tallone d’Achille” dello sviluppo è, comunque, la persistenza di disoccupazione e di precarietà occupazionale secondo tassi che non sono migliori di quelli della media nazionale, nonostante la forte presenza di manodopera immigrata.
Economia: agricoltura, allevamento e pesca
Agricoltura e allevamento sono le attività tradizionali, dalla seconda metà del Novecento soggette a un costante e forse irreversibile declino; gli addetti nel primario sono meno del 6% della popolazione attiva. Infatti, l’allevamento ovino transumante, che era caratteristico di questa regione, è praticamente scomparso a causa della scarsa disponibilità dei pastori a vivere accanto alle greggi e per via della concorrenza della lana straniera di qualità migliore. Di conseguenza, i vecchi pascoli hanno lasciato posto a campi coltivati o all’incolto, mentre l’allevamento, anche bovino, è diventato perlopiù stanziale riducendosi per numero di capi. Gli spazi più fertili della regione sono le conche intramontane di L’Aquila, del Fucino e di Sulmona, dove in piccole o piccolissime aziende spesso a conduzione famigliare, si coltivano di preferenza la vite, l’olivo, vari tipi di frutta e barbabietole da zucchero che garantiscono rese elevate rispetto a prodotti meno pregiati. Altrove, sempre nell’interno, si preferiscono i seminativi e la coltivazione delle patate, oltre a prodotti tipici, come lo zafferano e la liquirizia. Ancora differente è il quadro delle superfici prossime alle coste, in cui la mitezza climatica e la buona disponibilità idrica permettono l’orticoltura e i seminativi irrigui. Malgrado l’apertura verso l’Adriatico, la pesca resta un’attività marginale ed è praticata in pochi centri quali Giulianova, Francavilla e Pescara.
Economia: industria
Il settore manifatturiero, decollato con il boom economico, ha subito il calo occupazionale provocato dalla ristrutturazione produttiva degli anni Ottanta del Novecento, ma in misura ridotta non soltanto rispetto ai parametri del Mezzogiorno, ma anche rispetto alla media nazionale. Comunque, la piccola e media impresa locale, concentrata soprattutto nel Teramano e nel Pescarese e orientata generalmente alla produzione di beni di consumo, come abbigliamento, pelletteria, arredamento e calzature, ha raggiunto gradi sempre più elevati di automazione, mantenendo la capacità di rivolgersi anche ai mercati esteri e di contenere la disoccupazione. La grande industria di provenienza allogena, con stabilimenti Italtel a L’Aquila e FIAT a Sulmona e a Vasto, non è riuscita, invece, a innescare la formazione di un indotto adeguato alle esigenze locali, restando pertanto scarsamente integrata rispetto al tessuto produttivo della regione. Altra frattura riscontrabile nel secondario dell’Abruzzo – che occupa il 31% dei lavoratori della regione – è lo squilibrio territoriale tra le aree costiere maggiormente sviluppate, anche sul piano infrastrutturale, e quelle dell’interno più isolate e povere, con l’eccezione dei soli bacini intermontani.
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