L’eremo di Santa Maria del Caùto, detto anche eremo di Santa Maria del Pertuso, è un luogo di culto situato nel comune di Morino (AQ). Si trova a 1173 m s.l.m. nell’area protetta della riserva naturale guidata Zompo lo Schioppo, al confine dell’Abruzzo con il Lazio.
Sin dall’alto Medioevo la zona era molto frequentata da eremiti, asceti, monaci benedettini di passaggio che cercavano la solitudine tra i boschi ubertosi degli appennini centrali. Anche la conformazione geologica della regione, a prevalenza calcarea e di natura carsica, ricca di grotte ed anfratti, ha facilitato il formarsi di comunità ascetiche fornendo loro ripari naturali ed isolati; anche la ricchezza di acqua ha designato la zona come rifugio ideale per l’isolamento spirituale.
Intorno all’anno 1000 iniziò l’influenza dei monaci di Montecassino sull’intera zona e le prime notizie certe circa l’eremo si hanno a far data dal 1174, anno di una disputa tra la comunità di monaci presente nell’eremo e i chierici della chiesa di San Giovanni di Celano sulle modalità di consacrazione degli olii sacri per il giovedì santo. L’eremo, nel 1188 dopo essere stato incluso tra i possedimenti della diocesi dei Marsi e successivamente dell’abbazia benedettina di Trisulti, venne donato all’abbazia di Casamari in Veroli. Da questo evento in poi non si hanno più notizie certe sulla struttura ne sulla comunità monastica lì insediata ma è certo che intorno alla metà del XVII secolo l’edificio era già da tempo abbandonato e in rovina
Santa Maria del Pertuso, parete di fondo con le Storie veterotestamentarie e di santa Caterina
La storia
La chiesetta si trova a oltre 1100 metri di altitudine ed è raggiungibile solo percorrendo un impervio sentiero; si tratta di un piccolo edificio quadrangolare, in parte scavato nel vivo della roccia, di pianta un po’ irregolare e coperto da una volta a botte; le dimensioni dell’aula sono di poco più di 8 metri in lunghezzae di circa 4,50 metri in larghezza. Due delle pareti, quella di fondo e quella di sinistra, sono addossate alla montagna mentre le altre sono costituite da conci di pietra abbastanza irregolari; al di sotto dell’edificio si apre un vano interrato le cui dimensioni sono di m 4,10 x 2,90 e che doveva forse servire da luogo di accoglienza e dormitorio per i pellegrini. Scarsissime – e quelle poche assai intricate – sono le notizie sulle vicende storiche riguardanti il piccolo cenobio, la cui esistenza è documentata, sia pure indirettamente, sin dalla prima metà del XII secolo; nell’ultimo quarto del secolo, inoltre, esso viene ricordato come priorato da cui dipendevano altri insediamenti, tra cui anche la chiesa di San Nicola di Cappelle. Gli eventi salienti e più agevolmente ricostruibili prendono di fatto le mosse dal 1181 quando il piccolo edificio venne assegnato all’abbazia cistercense di Casamari da Papa Lucio III (1181-1185), decisione che diede peraltro il via ad una lunga serie di contenziosi con il clero e l’episcopato locale proprio riguardo alle pertinenze e dipendenze di diverse chiese della Marsica Contrasti prolungatisi tanto a lungo da provocare nel 1221 l’intervento di Papa Onorio III che cercò di ristabilire un equilibrio tra le pretese dell’Abbazia di Casamari e quelle della diocesi dei Marsi, senza successo, peraltro, tanto che Gregorio IX, tramite il cardinale diacono Ottone da Tonengo, il 5 maggio del 1236 fu costretto a convocare a Viterbo i contendenti per cercare dei risolverela questione che essenzialmente riguardava i diritti episcopali di quattro chiese della Marsica, dipendenti però da Casamari: San Nicola di Cappelle, San Rufino in Arcipreta, San Nicola e San Magno in Castolo. La controversia non fu di fatto risolta – nonostante un atto formale di riconoscimento dei diritti del vescovo dei Marsi – e le contestazioni proseguirono quasi per un decennio. A partire dalla metà del Duecento le notizie riguardanti Santa Maria del Pertuso sembrano cessare e rimangono, per gli storici, solo i documenti figurativi in essa conservati. All’interno, infatti, alcuni murali superstiti si snodano sulla massiccia volta a botte e sulle pareti del piccolo vano, verso l’altare, e documentano il succedersi di almeno due fasi decorative. Altre porzioni di intonaco, con tracce indecifrabili di pittura, sparse qua e là, suggeriscono l’esistenza di una decorazione che doveva ricoprire interamente le pareti e la volta dell’ambiente. Gli affreschi più antichi, che si trovano sulle pareti laterali e nel registro superiore della parete di fondo, mostrano episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento, e diverse figure di santi, campiti su un fondo blu intenso e identificati da iscrizioni, tra i quali si riconoscono san Clemente e Santo Stefano Il ciclo doveva comprendere, sulle pareti laterali, anche un registro inferiore, quasi completamente scomparso, la cui originaria esistenza è però indiscutibilmente provata da resti di massicce colonne tortili dipinte, terminate da bei capitelli fogliati. Sulla parete di fondo, al di sotto della scene neotestamentarie, sono invece disposti sei riquadri su due registri, con scene della vita di Santa Caterina d’Alessandria, accompagnati da diverse iscrizioni e sicuramente duecenteschi, come si dirà più avanti. I murali, finora sfuggiti all’attenzione degli storici dell’arte, sono in condizioni di leggibilità abbastanza compromesse, ma non tali da impedire un tentativo di definizione stilistica e cronologica, sia pure in termini ampi. Essi furono restaurati a cura della Soprintendenza ai Beni artistici e storici dell’Abruzzo nel 1992, sotto la direzione dell’allora Soprintendente, l’architetto Renzo Mancini
A cura di:Giulia Bordi, Iole Carlettini, Maria Luigia Fobelli,Maria Raffaella Menna, Paola Pogliani
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