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Da terra e dal cielo, le operazioni belliche nella regione Abruzzo


 

Foto tratta da Storie e luoghi d’Abruzzo

 

 

La guerra in Abruzzo. La Winterline e lo sfacelo del territorio

Forse nessun bollettino di guerra riesce a rappresentare meglio le distruzioni portate in Abruzzo dal secondo conflitto mondiale quanto la nota di Corrado Alvaro dedicata ad Ortona. Nel suo Itinerario italiano, edito a Milano nel 1957, racconta i viaggi nelle zone battute dalla guerra, nel corso del 1949, riferendo di una “città peggio che morta”, distrutta eppure abitata … tra rovine pulite, senza più polvere, spazzate, lavate, ossificate, non rovine d’un tempo antico ed estraneo, bensì della nostra vita, divenuta archeologica”. La drammaticità dei toni che lo scrittore usa è chiara, ma in questo caso addirittura contenuta rispetto ad una realtà che aveva sofferto la guerra nella forma più cruenta, “casa per casa”, producendo una devastazione materiale e morale cui nessuna descrizione, per quanto puntuale, riesce a rendere giustizia. La “battaglia di Ortona”, che Churchill definisce “piccola Stalingrado d’Abruzzo”, dura circa dieci giorni, a partire dal 21 dicembre del ’43 fino alla fine dell’anno, quando viene finalmente liberata dalle truppe alleate. è vero tuttavia che i giorni della sua disfatta furono poca cosa rispetto al tempo, decorrente dai primi di settembre, in cui era rimasta nelle mani dei tedeschi, e durante i quali tutto era stato sistematicamente depredato, sia in città che nelle contrade, non solo per la spietata logica bellica ma anche e soprattutto per fare, qui come altrove, “terra bruciata”. Tattica, questa, tristemente diretta ad abbattere non solo ponti, ferrovie, strade, porti, per rallentare la marcia del nemico, ma anche ad annientare ogni possibilità di vita e lasciare dietro sé distruzione e rovine. Nella storia d’Abruzzo, la seconda guerra è davvero uno iato tra il suo prima e il suo dopo, una cesura definitiva non solo in ordine agli effetti sul patrimonio ambientale ma anche a quelli sulla condizione umana. La prima guerra mondiale era stata combattuta sul fronte, prevalentemente; e anche gli ultimi terremoti, quello della Marsica, del ‘15, e della Maiella, del ‘33, per quanto devastanti, avevano avuto effetti geograficamente circoscritti e quantitativamente limitati. Rispetto ad essi, la seconda guerra è una sventura senza confini, capace di accomunare tutto il territorio regionale nello stesso infelice destino, già da sempre vissuto come tragicamente avverso. Il senso di annientamento che produce sugli abitanti l’orrore delle distruzioni-spoliazioni-deportazioni, li costringe per la prima volta a sradicarsi in massa dalla propria terra e dalle proprie cose, avviando un processo di cambiamento irreversibile del proprio pensare ed agire. Quando il 10 luglio ’43 gli anglo-americani sbarcano in Sicilia e ha inizio l’invasione, nota come ”Operazione Husky”, forte di 80.000 uomini, 7.000 veicoli, 300 carri armati, la guerra in Abruzzo è lontana ma ancora per poco. Il conto alla rovescia era iniziato per l’Italia il 24 di gennaio, con la chiusura della Conferenza di Casablanca tra Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt, e la decisione di imporre la resa incondizionata ai paesi dell’Asse, cominciando dal sud della penisola, da neutralizzare il prima possibile per poi trasformare progressivamente in postazione di offesa e attacco del Terzo Reich, il nemico supremo. L’Abruzzo viene a trovarsi a ridosso del fronte nel momento in cui gli Alleati decidono di far entrare in azione la flotta aerea statunitense, in modo da potenziare l’azione di blocco dei rifornimenti e rinforzi ai tedeschi, attraverso l’eliminazione sistematica di porti, aeroporti, ferrovie, impianti ferroviari e produttivi.


Lettopalena

L’azione dal cielo, perpetrata con una potente macchina bellica, sottopone i civili ad un senso di allarme continuo, di precarietà e insicurezza, costringendoli a subire gli orrori di una guerra condotta da entrambe le parti nel modo più barbaro. Come ha messo in evidenza Marco Patricelli nel suo recente volume dedicato ai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, la “decisa sterzata verso la barbarie” delle operazioni belliche angloamericane si verifica già nella tarda estate del ’40, con i raid di agosto e settembre su Milano, Torino, Genova e Cagliari. è in questa occasione che il bombardamento di precisione su obiettivi militari ed economici, messo a punto per risparmiare la vita ai civili, cede il passo al bombardamento indiscriminato, fondato sulle teorie di Giulio Douhet, l’ingegnere e ufficiale casertano, che sin dagli inizi del Novecento aveva elaborato nuove dottrine e modalità di guerra, ispirate alla filosofia dello sterminio e all’elezione della macchina aerea a strumento indispensabile per guadagnare, con il dominio dell’aria, anche la vittoria.
Per giungere al fine supremo, che è vincere, è utile, come Douhet scrive sulla Gazzetta del Popolo del 2 settembre 1914, “incendiare villaggi, distruggere capolavori d’arte, spandere il terrore di sé”, anche perchè “può dissuadere gli insorti a volgersi contro di noi”. Una prova di tale strategia, soprattutto per ciò che riguarda i capolavori d’arte, si verifica con il primo bombardamento di Roma del 19 luglio ‘43, che insieme al quartiere Prenestino, alla città universitaria e al complesso del Policlinico, distrugge il cimitero del Verano e riduce in macerie la facciata della basilica di S. Lorenzo fuori le mura, ponendo tragicamente fine all’illusione, a lungo coltivata, che almeno la “città eterna e santa del cattolicesimo” non meritasse il trattamento riservato alle altre città italiane. L’Abruzzo entra nel mirino dei bombardamenti alla fine di agosto, ad oltre un mese dallo sbarco sulle coste siciliane, quando le azioni dal cielo incrudeliscono ulteriormente, non solo per accompagnare la risalita degli Alleati dal sud d’Italia ma anche per sferrare il colpo decisivo alle già stremate risorse nazionali, agendo sull’apparato economico, produttivo e logistico ed anche su quello psicologico, già debilitato da anni di privazioni e ristrettezze, non solo alimentari. Mussolini era stato destituito il 25 luglio e il paese era allo sbando, con Pietro Badoglio nominato in tutta fretta capo del nuovo governo, intenzionato a continuare una guerra di cui nessuno poteva immaginare allora i tragici sviluppi. La fase che il Maresciallo si trova a gestire, fino all’8 settembre, data dell’Armistizio con gli Alleati, non è meno funesta di quella precedente, per numero di battaglie, morti e feriti, e ancor meno drammatica di quella che seguirà, quando la reazione dei tedeschi al tradimento degli italiani finirà per spaccare in due il paese e portarvi lutti infiniti.
Al volgere di un’estate infuocata da raid continui su tutta la penisola, il 27 agosto è Sulmona a rimanere vittima dei bombardamenti. L’obiettivo è la linea ferroviaria che la collega a Roma e Pescara, attraverso l’Appennino, ma anche l’industria bellica di cui è sede, l’una e l’altra alibi di azioni terroristiche dal cielo che non risparmiano le aree limitrofe, con la distruzione di tutto quanto ne viene coinvolto. Il 31 dello stesso mese, in concomitanza con un feroce attacco aereo sulla Toscana, è Pescara, la città di d’Annunzio, ad essere sottoposta ad una pioggia di ordigni rispetto ai quali era “totalmente e letteralmente indifesa”, nonostante la presenza, in periferia, di un aeroporto militare di addestramento. Come racconta Ennio Flaiano, il bombardamento del ’31 “sorprese tutti a tavola, cioè alla una del pomeriggio”, seppellendo sotto le macerie intere famiglie, ignare di poter essere coinvolte in tanto terrore. Il terrore in realtà era diretto alla stazione ferroviaria e alla statale Tiburtina-Valeria che collegava il centro adriatico con Roma, passando per Avezzano; il tiro al bersaglio cui la città viene sottoposta non risparmia però niente e nessuno tramutandosi in una vera e propria strage, con vittime civili ammontanti ad oltre 2.000. La strage del 31 agosto è tuttavia poca cosa rispetto a quello che i pescaresi si troveranno a soffrire il 14 successivo, quando a sei giorni dall’Armistizio l’arrivo degli aerei dal cielo viene addirittura salutato, come annota ancora Ennio Flaiano con “grida di gioia ed applausi (…) perché si pensava ad uno sbarco alleato. Visto che lo sbarco non avveniva la popolazione sfollò, del resto seguendo l’esempio delle autorità che s’erano rese irreperibili e prontamente trasferite. Alla popolazione non restava altro da fare che andarsene; le case di Pescara, per la vicinanza al mare, non avevano cantine o rifugi che permettessero di affrontare i bombardamenti che sarebbero seguiti. I pochi rimasti incapparono nelle razzie per il lavoro obbligatorio sulla ferrovia, lavoro che equivaleva spesso ad un suicidio obbligatorio, e alla fine furono fatti sloggiare da un’ora all’altra. Ma questo non deve far credere che la città fosse del tutto abbandonata; rimanevano infatti i tedeschi e i fiancheggiatori. Chiunque poteva darsi al saccheggio, appena legandosi una fascia bianca al braccio, segno di “collaborazionismo”. Questi nuovi monatti potevano girare a loro agio e portar via ciò che non piaceva ai tedeschi; e portarono via tutto. Erano gente della città, ma più dei paesi vicini: venivano – così dicono i pescaresi – ogni mattina e ripartivano prima di notte, coi carretti carichi”. Lo strascico di dolore e morte portato in Abruzzo dalle bombe di fine estate sono solo l’anticipo della successiva stagione di lutti e miserie. Paradossalmente, la vera guerra inizia per l’Abruzzo dopo l’Armistizio dell’8 settembre. Costretta a capitolare, come il resto del paese, con una popolazione terrorizzata e una classe politica in disintegrazione, è da questa data che la morsa in cui la regione rimane stretta si fa terribile, col suo territorio interamente conteso tra l’offesa degli occupanti anglo-americani, in estenuante risalita dal sud, e la difesa degli occupanti tedeschi, decisi a resistere a costo di qualsiasi tributo, umano e materiale.

Stralcio di:
Danni di guerra e danni di pace
Ricostruzione e città storiche in Abruzzo nel secondo dopoguerra
di Lucia Serafini

 

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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