La Marsica è, geograficamente, un’ampia valle di origini vulcaniche che si trova nell’Italia centrale, più o meno a metà strada fra Roma e Pescara, circondata da montagne molto alte. Fino al 1875 la parte centrale dell’ampia valle era occupata dal lago Fucino, terzo lago italiano per estensione
Intorno al lago c’era una serie di paesi fra i quali i più importanti erano, e sono ancora, Celano e Pescina. Ma il cuore commerciale, economico e politico marsicano è sempre stato, dal Medioevo in poi, Avezzano. Non descriveremo qui i particolari della storia di questa città, ma è importante notare come, dopo la distruzione della città di Albe, nei secoli Avezzano e la Marsica siano stati coinvolti quali territorio di battaglia e di conquista, ambito e condiviso fra le maggiori famiglie romane, come i Colonna e gli Orsini. Subito dopo l’Unità d’Italia (nel periodo fra il tra il 1860 e il 1861) ad Avezzano, come in gran parte dell’Abruzzo, vige l’anarchia poiché la regione diviene teatro di sanguinose lotte fra le truppe dei Savoia e i resti dell’esercito borbonico che si sono uniti ai briganti locali. Questi continuano ad essere i rappresentanti del malessere dell’Italia meridionale, che dura e si approfondisce nonostante le belle promesse fatte durante il periodo della formazione dell’Unità d’Italia.
Nel 186231, dopo diversi interventi fatti in Parlamento da deputati meridionali, perché si smettesse di guardare ai briganti e alle lotte che continuavano nell’Italia Meridionale come un problema di banditismo, viene istituita una commissione parlamentare che a partire dal gennaio del 1863 visita tutta l’Italia meridionale. Nella relazione finale per il Parlamento il deputato Massari afferma: “La prima causa dunque sono le cause predisponenti, e prima di tutte la condizione sociale, lo stato economico del campagnolo che in quelle provincie appunto dove il brigantaggio ha raggiunto proporzioni maggiori, è assai infelice”. La relazione si conclude indicando i metodi più urgenti per eliminare il problema alla radice: diffusione dell’educazione pubblica, affrancamento delle terre, costruzione di strade, bonifica di terre paludose. Nonostante questa relazione, le leggi approvate non presentano nessuna novità per il Meridione e anzi il Parlamento decide che tutti i briganti debbano essere trattati come soldati traditori e passati immediatamente per le armi. Il contingente presente in Abruzzo per la lotta anti-brigantaggio è composto in quegli anni da 85.940 uomini in assetto di guerra. Intanto ad Avezzano si assiste allo sviluppo della città, con l’insediamento di nuove istituzioni e la costruzione di nuove scuole. Divengono sempre più importanti nella vita della città alcune grandi famiglie borghesi, fra cui la famiglia Corbi, di cui torneremo a parlare. Nel 1875, grazie ad una società internazionale, il cui maggiore azionista è il banchiere svizzero Alessandro Torlonia, il lago Fucino viene completamente prosciugato.I costi sono enormi, tanto che ancora oggi non è raro sentire “o Torlònia assùca Fùcine o Fùcine assùca Torlònia”, per indicare l’impegno profuso per raggiungere uno scopo che, se non raggiunto, può distruggere il suo ideatore.
Il facoltoso banchiere si trova ad avere durante i lavori non pochi problemi di ordine economico. Al posto delle antiche acque del lagoche non ha immissari né emissari, e che continua ad essere vivo con le proprie sorgenti, viene alla luce la ricca Piana del Fucino, destinata all’agricoltura. Torlonia, come rimborso per i capitali investiti, ne diviene unico proprietario per un periodo di novantanove anni. Ma le terre ricavate dal letto del lago non vengono affidate agli abitanti della Marsica per la coltivazione, bensì ai mezzadri chiamati dalle Marche e dalla Puglia, mentre i marsicani che hanno perso il lavoro o perché pescatori nel lago, o perché privati delle loro coltivazioni tipiche, come l’olivo o la vite, distrutte dai mutamenti climatici conseguenti alla scomparsa del lago, si trovano a vivere in condizioni miserevoli, peggiori delle precedenti. Come si presenta dunque la città di Avezzano all’inizio del Novecento? Sappiamo che è interamente circondata da mura, con fossati di cui oggi non rimane nulla. Giovanbattista Pitoni, all’inizio della sua commedia “Je fùrne de’ Zefferìne” racconta proprio la città nel periodo immediatamente precedente al terremoto: “Avezzano, all’inizio del secolo, era un paese – come tanti altri – popolato da onesti lavoratori, grandi risparmiatori, gente assennata, rivoluzionari generosi ed altruisti, ferventi credenti timorati di Dio, ottime madri di famiglia, sapienti artigiani ed esperti contadini; non mancavano, però, come in tutti i piccoli centri di provincia, le pettegole incallite, gli irriducibili superstiziosi, gli instancabili… scansafatiche, i mezzani, i bigotti, le nubili in spasmodica attesa della sospirata sistemazione, il chiacchiericcio delle comari, il chiasso dei vicoli…”
#Università di Debrecen – Dott.ssa Rosangela Libertini
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