Paddaccio, cacioni, trittico e lampascioni. E ancora, lucanica, pappaluni, giuraje, farrate, solina, gruttazzo. Nomi bizzarri, spesso antichi e perlopiù sconosciuti, ma dietro ai quali si celano straordinari formaggi, dolci squisiti, ortaggi e legumi rari, salumi prelibati, cereali antichi. In altre parole uno dei tesori più preziosi del Belpaese: le nostre eccellenze agroalimentari.
Quel che pochi sanno è che molte di queste prelibatezze sono custodite e prodotte all’interno dei Parchi italiani, dove natura protetta e lavoro dell’uomo sono legati indissolubilmente da millenni. Alcuni di questi prodotti fanno parte da sempre della cucina tipica regionale, altri sono stati salvati dall’estinzione e sono tornati sulle tavole grazie alla tenacia di agricoltori esperti il cui lavoro è stato promosso e sostenuto proprio dai parchi e dalle amministrazioni locali.
Quel che emerge è una geografia dell’Italia protetta all’insegna del buon gusto, dei cibi sani e delle tradizioni agroalimentari che si intreccia, in unione perfetta, con quella dei paesaggi naturali e della tutela di flora e fauna.
La Costa Camosciara
E’ su queste montagne che, per salvare gli ultimi orsi marsicani e gli ultimi camosci dell’Appennino, è nata la protezione della natura in Italia. Il 2 ottobre 1921 la Federazione Pro Montibus et Sylvis affittò dal Comune di Opi 500 ettari della Costa Camosciara, nell’alta Val Fondillo, e il mese successivo fu costituito l’Ente Autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo. Il 9 settembre 1922 un’area di 12 mila ettari (nei Comuni di Opi, Bisegna, Civitella Alfedena, Gioia dei Marsi, Lecce dei Marsi, Pescasseroli e Villavallelonga) divenne parco nazionale.
Era il nucleo iniziale dell’attuale Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise che oggi comprende un territorio di 50 mila ettari con una zona di protezione esterna di circa 80 mila ettari, 24 Comuni e tre Regioni. Una storia lunga quasi un secolo che ha consentito a questo angolo d’Italia di diventare un caposaldo della battaglia per la difesa di animali simbolo come l’orso bruno marsicano (che si differenzia dagli orsi delle Alpi e costituisce una sottospecie autonoma), il camoscio d’Abruzzo (ormai salvo dopo aver sfiorato l’estinzione), il lupo appenninico (fondamentale nel suo ruolo di “ago della bilancia” nell’equilibrio tra predatori e prede), l’aquila reale, il cervo, il capriolo. Nel complesso ci sono 66 specie di mammiferi, 230 di uccelli, 52 di rettili, anfibi e pesci, e moltissime specie di insetti (compresi importanti endemismi). Anche la flora del parco è di grande valore: è possibile elencare circa 2.000 specie di piante superiori senza considerare i muschi, i licheni, le alghe e i funghi.
Tra le più belle il giaggiolo (Iris marsica), endemismo del parco che fiorisce tra maggio e giugno, la Scarpetta di Venere (Cypripedium calceolus), un’orchidea che fiorisce negli angoli più nascosti tra maggio e giugno. Un’altra rarità esclusiva è il pino nero di Villetta Barrea (Pinus nigra), una specie che risale al Terziario. La gastronomia del parco è fatta di piatti poveri, decisamente improntati alla civiltà agro-pastorale: oltre che delle carni e, più spesso, delle frattaglie ovine, si fa largo uso di erbe spontanee quali gli orapi (spinaci selvatici che crescono solo oltre i 2000 metri – Chenopodium bonus-henricus). L’artigianato alimentare ha i suoi prodotti di punta nei formaggi: si fanno soprattutto pecorini ma anche un raro caprino, la Marzolina.
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