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Marcinelle un monito per il futuro dell’Europa

Alle ore 9.39 dell’8 agosto 1956 il fumo sovrasta il pozzo del “Bois du Cazier” nella miniera di Marcinelle (foto tratta dallo speciale “Marcinelle”, edizioni Dupuis, Marcinelle-Charleroi, 1956, il cui ricavato fu destinato alle famiglie delle vittime)

L’ 8 agosto ricorre l’anniversario del disastro che aprì gli occhi del mondo sulle orribili condizioni di vita degli immigrati italiani in Belgio. In quel drammatico giorno del 1956, un’esplosione nella miniera di Bois du Cazier, a Marcinelle, uccise 262 minatori, 136 dei quali erano italiani e ben 60 di loro abruzzesi. Mai come in seguito a quella vicenda drammatica però una comunità immigrata influenzò così tanto la cultura popolare, la società e la politica del tempo.
Dal sacrificio dell’epica emigrazione di massa di quegli anni nacquero, infatti, le basi per il progresso e lo sviluppo su cui l’Italia avrebbe fondato il proprio boom economico. Non solo, ma il processo di nascita delle prime istituzioni comunitarie europee subì una improvvisa e forte accelerazione culminata nel Trattato di Roma del 1957, appena sette mesi dopo i tristi eventi di Marcinelle.
Soprattutto, dall’incendio dell’8 agosto del ‘56 si diede vita alla più radicale revisione dei livelli di sicurezza sui luoghi di lavoro, non aggiornati dall’Ottocento, nonché ai primi e veri incisivi modelli di assistenza per le malattie professionali per i lavori maggiormente usuranti. La strage era avvenuta esattamente 10 anni dopo il famoso accordo fra Italia e Belgio che prevedeva l’invio di 2.000 giovani alla settimana per lavorare nelle miniere. Per l’Italia, reduce dall’esito disastroso della guerra, ciò si traduceva nell’immediato vantaggio di acquisire valuta straniera, tramite le rimesse, di allentare la disoccupazione e di assicurarsi una discreta disponibilità di energia, poiché la contropartita dell’accordo era la vendita agevolata di carbone (200 chilogrammi al giorno) per ogni minatore “fornito” a Bruxelles. Naturalmente il benessere dei lavoratori entrava poco o per nulla nelle considerazioni politiche del tempo. Per esempio, le autorità italiane erano ben coscienti che la manodopera locale non voleva più scendere in miniera a causa della durezza del lavoro e della sua pericolosità. Gli emigranti italiani, invece, per lo più ignari delle condizioni di vita che li attendevano, venivano instradati da Milano, dove partiva il treno settimanale per il Belgio.

 

 

Dopo aver affrontato un viaggio che poteva durare anche 52 ore, gli aspiranti minatori venivano scaricati nella zona merci delle stazioni (ben distante da quella passeggeri) e si trovavano spesso di fronte alle “nuove” dimore: delle baracche già utilizzate per i prigionieri durante la guerra, dove erano subito evidenti i sentimenti della popolazione locale nei loro confronti, sintetizzati nei famosi cartelli “ni chiens, ni italiens” appesi fuori dai locali del distretto minerario di Charleroi, da cui si evinceva che l’integrazione sarebbe stata lunga e difficile. Le “ricorrenze”, per essere davvero tali, sono l’occasione per una rivisitazione del passato e un esame del presente. A 65 anni di distanza, non si può far a meno di constatare che bisogna rinnovare l’attenzione per l’eredità di quelle vittime e degli affetti lacerati delle famiglie che avevano coltivato speranza per il proprio futuro nel loro impiego nei distretti minerari europei. Il tema è emblematicamente attuale nelle esistenze lacerate di tutti coloro che sono costretti ad allontanarsi dal contesto nativo, alla ricerca ancora una volta del lavoro. E il “sogno Europeo”, allora come oggi, non può prescindere dal rispondere all’aspirazione ad un’esistenza pienamente realizzata. Appare sconcertante, a riguardo, il fatto che il PNRR nazionale e quello europeo affrontino solo sommariamente il ruolo dell’emigrazione nel contesto dell’emergenza procurata dalla pandemia.

 

 

Trattando di politiche giovanili, nel Piano italiano si afferma che: “I giovani sono tra le categorie più colpite dalle ricadute sociali ed economiche dell’epidemia del nuovo coronavirus”; una constatazione abbondantemente confermata dai dati appena si consideri che, secondo l’Istat, il tasso di occupazione tra i 15-25enni è diminuito all’inizio del 2021 di 14,7 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Allargando l’analisi ai 25-34enni si scopre che tale fascia di età ha perso complessivamente 258 mila posti di lavoro nello stesso periodo (-6,4 per cento). Sono aumentati, infine, i giovani che non lavorano e non sono iscritti a nessun corso di studio o di formazione (Not in Education, Employment or Training – NEET). Decine di migliaia di giovani, oggi a differenza di allora laureati e diplomati, si stanno quindi apprestando ad un’emigrazione forzata per bisogno di lavoro, contribuendo drasticamente ancora una volta alla desertificazione sociale e produttiva delle aree più deboli della Penisola, a partire dal suo Mezzogiorno. Quali i progetti, le strategie, le prospettive per le loro condizioni di vita all’estero? Un monito è venuto da papa Francesco nell’Enciclica “Fratelli Tutti”, quando il Pontefice ha riconosciuto che le migrazioni costituiranno un elemento fondante del futuro del mondo.

 

 

E l’Europa «aiutata dal suo grande patrimonio culturale e religioso, ha gli strumenti per difendere la centralità della persona umana e per trovare il giusto equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti». (§40). Dunque, la lezione di Marcinelle continua ad alimentare la speranza per il sogno di un’Europa unitaria e più giusta. E le nuove strategie europee, delineate non a caso come Next Generation EU, dovrebbero esprimere maggiore coraggio nel riconoscere alle migrazioni un ruolo non trascurabile per il futuro del vecchio continente.

di NICOLA MATTOSCIO Presidente Abruzzesi nel Mondo

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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