La coltura della vite (Vitis vinifera), come ormai storicamente comprovato, risale a diversi millenni orsono anche se la sua diffusione nell’Italia centrale si presume sia avvenuta intorno all’anno mille a.C. grazie agli Etruschi che introdussero la tecnica di sorreggere le viti con gli alberi. L’espansione della coltivazione della vite lungo la fascia adriatica è probabilmente ascrivibile ai Piceni prima e alle diverse “genti italiche” più tardi, genti che nella nostra regione diedero origine ad una vera e propria civiltà: i Marsi (nel Fucino), i Peligni (nella conca di Sulmona), i Pretuzi (attuale provincia di teramo), i Vestini (intorno al Gran Sasso), i Frentani (area di Lanciano-Ortona), i Marrucini (area intorno a Chieti), tutti nomi ancora oggi vivi nelle tradizioni e nella toponomastica dell’abruzzo. Grazie a loro, sulle assolate colline abruzzesi si producevano vini di buona fattura come ci ricorda Polibio, storico greco vissuto tra il 205 ed il 123 a.C., che narrando le gesta di annibale dopo la vittoria di Canne (216 a.C.) così scriveva: “…accampato presso l’Adriatico, in una regione che eccelleva per prodotti di ogni tipo, dedicava grande attenzione al recupero delle forze e alla cura degli uomini, e non meno anche dei cavalli… Annibale, spostando ogni volta il campo di poco, si tratteneva sulla costa adriatica, e facendo lavare i cavalli con vino vecchio, per la grande quantità che ce n’era, ne curò lo scorbuto e le altre malattie, e analogamente tra gli uomini guarì i feriti, e gli altri li mise in forze, pronti per le operazioni future”. (Storie, Libro terzo, capitoli 87 e 88). Quella di Polibio costituisce sicuramente la prima vera testimonianza storica sulla produzione di vino in terra d’abruzzo che, qualche decennio dopo, veniva celebrata anche dal poeta latino Publio Ovidio nasone, nato a Sulmona nel 43 a.C. e morto in esilio a tomi sul Mar nero nel 17 d.C., che con alcuni versi pieni di malinconia rievocava la sua terra natale: “…i campi Peligni son percorsi da limpide correnti, e sul suolo morbido l’erba rigogliosa verdeggia. Terra fertile della spiga di Cerere, e ancor più di uva, qualche campo dà anche l’albero di Pallade, l’ulivo…” (amores, Libro secondo, XVII). L’Abruzzo nel Medioevo nei secoli successivi con la decadenza e il crollo dell’impero romano d’Occidente, la vitivinicoltura italiana seguì il medesimo destino. Infatti, per parlare nuovamente di vite e di vino dobbiamo giungere alla fine del XIII secolo quando Pier de’ Crescenzi (1233-1321), ritenuto il più grande scrittore di agricoltura del Medioevo nonché erede spirituale di Catone e Columella, pubblicò il suo liber commodorum ruralium. Egli descrisse una quarantina di vitigni coltivati allora in Italia e tra questi vi era anche il tribbiana (verosimilmente l’attuale trebbiano), vitigno dalle alte produzioni che dava vino “nobile et bene servabile”, che si coltivava nelle Marche e presumibilmente anche in abruzzo. Sebbene il vero e prole “genti italiche” protagoniste della civiltà dell’antico Abruzzo. prio commercio del vino
di Giuseppe Cavaliere
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