Le Grotte di Stiffe sono, tecnicamente parlando, una risorgenza, cioè il punto in cui un fiume torna alla luce dopo un tratto sotterraneo; nel caso di Stiffe questo punto è situato all’apice della forra che sovrasta il piccolo paese omonimo.
La presenza del corso d’acqua, che in alcuni periodi dell’anno raggiunge portate considerevoli, è sicuramente la caratteristica più importante delle Grotte, che a volte sono percorse da un piccolo ruscello le cui acque mormorano e bisbigliano, altre volte vengono attraversate da un fiume che si precipita a valle lungo rapide e cascate con un boato assordante.
La risorgenza di Stiffe è conosciuta da molti anni dagli abitanti del luogo, infatti esistono documenti che ne fanno risalire la conoscenza dei primi ambienti in tempi molto lontani. Proprio la presenza di un copioso corso d’acqua all’interno della grotta ha permesso, agli inizi del XX secolo, la costruzione di una centrale idroelettrica: alimentata dalle acque trasportate a valle per mezzo di una condotta forzata, di cui qualche tratto è ancora visibile in prossimità dell’ingresso, ed ha costituito fonte di energia sino alla sua distruzione avvenuta durante la seconda guerra mondiale.
Il progetto di valorizzazione turistica della grotta risale a oltre trent’anni fa, ma solo negli anni ottanta si è provveduto alla realizzazione dello stesso, per giungere, nel 1991, all’inaugurazione del Complesso Turistico “Grotte di Stiffe”.
Se, dopo aver visitato virtualmente questo sito, vorrai venire a trovarci, sappi che, mettendoti in contatto con il nostro centro prenotazioni, avrai tutte le informazioni di cui hai bisogno; in tal senso, è particolarmente indicato telefonare durante il periodo invernale e primaverile, poiché in qualche giorno dell’anno, a causa delle piene, le condizioni meteorologiche all’interno della grotta ne rendono impossibile la visita.
Stiffe
Troviamo una località denominata Stiffe, per la prima volta, nel “Catalogus baronum sub Wiligelmi” (1167), il documento che indicava, sotto il Regno di Guglielmo I, la leva generale che il re normanno poteva pretendere dai propri feudatari in caso di guerra; Stiffe, allora conosciuta con il nome di Stissam, aveva l’obbligo di fornire tre militi.
Pur tuttavia, già prima di allora, il toponimo Stiffe indicava un agglomerato di case sparse che, con il tempo, andrà a coagularsi in castrum, per poi, con l’incastellamento risalente al Mille, divenire un vero e proprio borgo fortificato; e, d’altra parte, tale evoluzione viene confermata dalla presenza della Chiesa di Sant’Andrea, una pieve fuori delle mura che faceva da ritrovo sociale nei centri prima del Mille e che poi verrà soppiantata dal Castello, di cui restano solo i ruderi.
Nei secoli successivi Stiffe partecipò, quasi sicuramente, alla fondazione della città di L’Aquila, come testimonia la presenza di una Chiesa di Sant’Andrea all’interno delle mura del capoluogo, caratteristica, appunto, dei paesi che crearono la città territorio aquilana.
Ritroviamo Stiffe in un documento ufficiale nel 1267, sotto il Re Carlo I d’Angiò, quando viene menzionata negli atti relativi all’esazione imposta da Ponzio di Villanova; essa ha il nome di Stiphia e viene tassata, unitamente alla città di L’Aquila, per 9 once d’oro.
Dopo circa trent’anni, nel 1294, la nostra Stiffium ricompare nel Diploma di Carlo II d’Angiò, rilasciato forse per intercessione di Celestino V, il Papa che “fece per viltade il gran rifiuto” (Dante, Inferno, Canto VV. ).
Il documento riveste grande importanza per tutto il comprensorio aquilano, poiché la tassazione viene applicata su Aquila intesa come unica entità fiscale, unitamente a tutto il suo contado, non più sui singoli paesi.
Passano due secoli e Stiffe, come detto nel catasto onciario di Ladislao di Durazzo (1409), ha 14 fuochi (un fuoco corrispondeva a 3-5 persone), una popolazione che manterrà approssimativamente anche in seguito, come testimoniano le numerazioni del 1508 (16 fuochi), del 1530 (28 fuochi) e del 1546 (16 fuochi), anche se nel frattempo il suo nome ha acquisito la forma definitiva di Stiffe.
Ma è nel XV secolo e, per la precisione, nel 1423 che Stiffe vede il suo periodo d’oro, quando resta uno degli ultimi baluardi che difendono L’Aquila assediata da Braccio da Montone, il capitano di ventura umbro che voleva mantenerla sotto il proprio dominio; in realtà, l’episodio bellico rientrò in un complesso gioco di potere che vide protagonisti il Regno di Napoli, il Papato, il Granducato di Toscana ed il Ducato di Milano: fu proprio in quest’occasione, infatti, che furono stabiliti gli equilibri che faranno, nei secoli seguenti, la storia d’Italia, fino ad arrivare al secolo scorso.
L’Aquila, assediata fin dal maggio del 1423, riuscì a resistere eroicamente per ben tredici mesi, supportata solo dai tre castelli di Fontecchio, Rocca di Mezzo e, appunto, di Stiffe, che non si arresero a Braccio da Montone. Finalmente, il 2 Giugno 1424, avviene lo scontro decisivo nella piana aquilana: da una parte il formidabile esercito braccesco coadiuvato dai fiorentini, dall’altra una coalizione delle truppe papali, napoletane, milanesi che, dopo un iniziale sbandamento, riescono a ribaltare la situazione grazie anche al decisivo intervento degli aquilani che uscendo dalle mura della città, attaccano i bracceschi alle spalle.
Trascorso questo periodo glorioso Stiffe, come del resto tutto il territorio, piomba nel buio della dominazione spagnola, quando, addirittura, agli abitanti di Stiffe fu imposto un coprifuoco che impediva loro di uscir di casa dopo le due ore di notte.
Fra peripezie e vessazioni varie dei feudatari Stiffe giunge al 1800, quando, di proprietà dei principi romani Barberini, dà i natali al patriota Angelo Pellegrini, incriminato ed incarcerato per le sue attività mazziniane. Pellegrini, indomito e tenace, sarà a capo del corteo che, decenni dopo, sfilerà per le vie di L’Aquila per celebrare il passaggio dal regime borbonico a quello unitario.
Ad inizio secolo Stiffe torna ad essere protagonista: il 31 maggio del 1906 il Consiglio Comunale di S. Demetrio ne’ Vestini delibera l’inizio dei lavori per la costruzione di una centrale idroelettrica nel paese di Stiffe, che sarà una delle prime in tutta l’Italia centrale; essa, alimentata dalle acque della Grotta, fornirà energia elettrica a tutto il paese di San Demetrio, per poi essere smantellata durante la seconda guerra mondiale.
La grotta, ostruita da una diga onde creare una certa pressione del flusso idrico, resterà chiusa fino agli anni ’50, quando, fatto esplodere il muro, cominciarono le prime esplorazioni speleologiche.
Tutta la documentazione legata all’opera è andata perduta, o almeno così si credeva fino all’inizio del 1995, quando, in un mercatino di libri dell’usato di Roma, fu rinvenuto dal Prof. Lino De Santis di L’Aquila un album rosso contenente 24 fotografie: esse illustrano tutta la realizzazione dell’opera, dalle prime perlustrazioni in grotta alla posa in opera della tubatura della condotta forzata.
Entriamo nelle grotte
Le Grotte di Stiffe sono situate all’apice della forra sovrastante il piccolo paese di Stiffe, frazione del Comune di San Demetrio ne’ Vestini.
In prossimità della grotta è possibile ammirare uno degli angoli più belli di tutto l’Abruzzo: da una parte lo sguardo si adagia sulla placida, morbida visione della conca aquilana, dominata dalla imponente mole della catena del Gran Sasso d’Italia, dall’altra s’inerpica sull’aspra parete rocciosa alta cento metri, che sovrasta l’ingresso della grotta, e si perde nella lussureggiante vegetazione della forra, attraversata da sentieri perfettamente percorribili.
Entrando nella grotta i sensi sono di colpo investiti dall’ambiente inusuale: le fresca temperatura ed i giochi di luce trascinano la mente a ritroso nel tempo; le gocce che cadono fanno rivivere il fenomeno dello stillicidio che ha dato forma alle insolite stalattiti e stalagmiti; la vista si concentra sull’acqua che spumeggia sotto le passerelle, e si perde in lontananza per catturare ogni dettaglio delle concrezioni, con il fiume che fa da guida rumorosa dall’ingresso della grotta, nascondendosi quel tanto che basta per far sentire il silenzio, per poi tornare ad esibirsi con tutta la sua potenza, soprattutto d’inverno, in una maestosa sala dove, precipitando con fragorosa cascata, offre uno spettacolo splendido ed inquietante.
ESTERNO – L’imbocco della cavità si apre alla base di una parete rocciosa a strapiombo, alta circa cento metri; da qui, su di una comoda e sicura passerella metallica, si oltrepassa la briglia che chiudeva la grotta ai tempi della centrale idroelettrica e si inizia il percorso sotterraneo.
INGRESSO – Fin dall’inizio la nostra curiosità viene attratta dal bianco candido delle pareti, colore caratteristico delle rocce calcaree, che, ad una certa altezza, viene bruscamente spezzato da due fasce scure che ci accompagneranno lungo tutta la grotta: tale colorazione è dovuta alla presenza di ossidi metallici che sono stati depositati dal fiume nella sua azione millenaria.
Poco più avanti, sulla sinistra, si nota una piccola cavità, formatasi a causa dell’azione erosiva del fiume ove, nel 1997, è stato rinvenuto materiale archeologico risalente al periodo del neolitico e dell’eneolitico antico e medio.
Proseguendo nella nostra visita, quindi, incontriamo un canyon particolarmente interessante per le forme erosive presenti, e, percorrendolo per qualche decina di metri costeggiando ed attraversando il fiume, raggiungiamo la Sala del silenzio
La sala del silenzio – La sala del silenzio è così chiamata in quanto in gran parte dell’anno il torrente in questo tratto si prosciuga, rendendo ovattato questo enorme ambiente, isolato dal fragore delle acque che caratterizzano le Grotte di Stiffe. Oltrepassando la sala del silenzio per mezzo di un tunnel artificiale arriviamo, dopo essere stati sbalorditi ed attratti dalla bellezza di alcune colate stalattitiche, nei pressi dello pseudo-sifone, alla “Sala della cascata”.
La sala della cascata – Ciò che attrae subito la nostra fantasia è la vastità dell’ambiente: la sala, alta circa trenta metri, è una fantastica cassa di risonanza per la cascata, che, con un balzo dell’acqua di venti metri, ci ammalia durante l’estate con il suo lieve mormorio, per poi, nei periodi di piena, renderci inquieti con la sua selvaggia bellezza. La sala, geologicamente, è un grande ambiente formatosi per lo scorrimento di blocchi di roccia che hanno subito dei movimenti verticali; tale scorrimento ha generato la parete che vediamo, la quale viene tagliata perpendicolarmente dalla cascata. Precedentemente alla realizzazione delle infrastrutture turistiche, per effettuare le esplorazioni era necessario scalare la parete, con tutti i rischi a ciò legati. Giunti al di sopra della cascata mediante una scalinata, è possibile ammirare l’ambiente sottostante grazie ad un comodo belvedere, oltrepassato il quale troviamo un passaggio caratterizzato da affilate lame rocciose, ed entriamo nella magica “Sala delle concrezioni”.
La sala delle concrezioni – Qui, dopo il selvaggio fascino del fiume e le forme aspre degli ambienti precedenti, finalmente troviamo il meritato relax: il mormorio dell’acqua si sposa perfettamente con le morbide linee delle stalattiti, che pendono dal soffitto a creare morbidi drappeggi che lasciano sfogo alla fantasia ed alla immaginazione più creativa.
Soffermarsi in questa sala consente di ammirare le capricciose piroette antigravitazionali delle stalattiti eccentriche, formatesi per uno stillicidio particolarmente ridotto, e di seguire con lo sguardo le sinuose linee delle semitrasparenti vele (anche dette fette di prosciutto), dovute ad un percolamento dell’acqua dalle pareti. L’atmosfera silenziosa ci obbliga a pensare quanto sia breve la nostra storia dinanzi alle più piccole di queste concrezioni, risalenti a centinaia di migliaia di anni fa.
E, poi, come non cercare di cogliere l’attimo fuggente, così ripetitivo eppure così unico, in cui una goccia d’acqua cade nelle placide acque del laghetto, formando piccoli cerchi e ricordandoci l’eterno scorrere del tempo, il tutto prima che la nostra guida, riportandoci bruscamente alla realtà, ci conduca verso le meraviglie successive e verso il “lago nero”.
Il lago nero – Siamo vicini alla zona più antica della grotta: sopra le nostre teste pendono i meravigliosi drappeggi di una grande e sinuosa vela, mentre tutt’intorno le forme variegate di altre concrezioni colpiscono i nostri sensi scatenando la fantasia più sfrenata. Poco più avanti si ergono dal nulla alcune stalagmiti, le testimoni più antiche della vita della grotta, la più alta delle quali raggiunge i tre metri di altezza.
Poi, in un ambiente più ampio, ecco il lago nero: placido, tranquillo, anche durante i periodi di piena, è sovrastato da una parete riccamente concrezionata che cela la diramazione fossile, l’angolo più nascosto e bello di Stiffe; qui stalagmiti e colonne, immense eppur timide, si mostrano solo agli occhi degli speleologi, poiché la delicatezza dell’ambiente ha imposto la creazione di una zona “off limits” per i turisti; sempre qui, si è concretizzato un piccolo miracolo biologico, con un cimitero di pipistrelli i cui piccoli corpi sono ormai racchiusi all’interno delle concrezioni, dando vita a dei fossili perfettamente conservati.
Proseguendo nella nostra visita, imbocchiamo un breve tunnel che ci porta, bruscamente, ad una realtà ben diversa da quella vista nell’ultimo tratto di grotta: non più placide, ruscellanti acque, non più morbide linee sinuose, ma aspre, taglienti forme di ammassi franosi che testimoniano l’irrequieta gioventù di questa zona della cavità. E, su tutto, a far da cupo sottofondo, un lontano boato di acque cadenti verso “L’ultima cascata”.
L’ultima cascata – In una stretta sala totalmente invasa da un lago profondo cinque metri si abbattono le acque dell’ultima cascata. Dopo un balzo di venticinque metri, esse acquistano una velocità tale che il fragore dell’impatto e lo spostamento d’aria provocato creano turbini di acqua e rendono impossibile parlare anche a breve distanza. Lo spettacolo selvaggio e quasi infernale è visibile dai visitatori delle Grotte dall’Agosto 2007, da quando, cioè, è stato permesso l’accesso al grande pubblico che potrà quindi vivere le emozioni forti ed inconsuete di solito riservate agli speleologi.
La particolarità dell’ultima cascata è data dall’ampiezza della sala che, anche se di dimensioni ridotte rispetto alla prima, accentua in modo suggestivo il getto d’acqua che prorompe da un’altezza di 20 metri.
La bellezza delle cose ama nascondersi e l’uomo ama scoprirne i segreti: sulla parete destra della sala la colata dai tre colori sembra trasformare in pietra la stessa bellezza e l’una e l’altra insieme scendono a bagnarsi i piedi fin nell’ultimo laghetto.
Credits:
Le grotte di Stiffe – grottestiffe.it
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